humanitas latina in bohemis

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humanitas latina in bohemis
Convegno Internazionale
Mezinárodní konference
HUMANITAS LATINA
IN BOHEMIS
a cura di Giorgio Cadorini e Jiří Spička
Castello di Brandýs nad Labem, Repubblica Ceca
3 giugno 2006
Albis - Giorgio Cadorini
Kolín - Treviso 2007
ISBN 978-80-903770-0-4
Indice
Presentazioni
Pag.
7
AVV. ON. DINO DE POLI
Presidente della Fondazione Cassamarca, Treviso
Pag.
9
GIORGIO CADORINI
Università della Slesia, Opava - Slezská univerzita v Opavě
Pag.
13
“Ad intelligenciam istius sancti evangelii vobis aliquid
describere cupio”
La Vita Caroli e l’intento predicatorio di Carlo IV
„Ad intelligenciam istius sancti evangelii vobis aliquid
describere cupio“
Vita Caroli a kazatelské snahy Karla IV.
ANNA PUMPROVÁ
Università “T.G. Masaryk”, Brno - Masarykova univerzita, Brno
Pag.
41
Ai margini della società: valdesi e ussiti
Na okraji společnosti: valdenští a husité
PETRA MUTLOVÁ
Università “T.G. Masaryk”, Brno - Masarykova univerzita, Brno
Pag.
61
Gli ussiti e l’Italia
Husité a Itálie
JAN STEJSKAL
Università “F. Palacký”, Olomouc - Univerzita Palackého v Olomouci
Pag.
75
La Panglottia di Comenio come tentativo di
affrontare la comunicazione tra nazioni di lingua
diversa nel XVII secolo
Komenského Panglottia jako pokus o řešení
mezinárodní jazykové komunikace v 17. století
JANA PŘÍVRATSKÁ
Università “Carlo IV”, Praga - Univerzita Karlova v Praze
Pag.
97
Gian Gastone de’ Medici e la sua corte in Boemia.
Il problema della lunga permanenza all’estero
Gian Gastone de’ Medici a jeho dvůr v Čechách.
Problém dlouhodobého pobytu v cizině
JAN F. PAVLÍČEK
Università “T.G. Masaryk”, Brno - Masarykova univerzita, Brno
Pag. 117
L’italiano lingua di cultura dell’Europa centrale
nell’età moderna
Italština v novodobých dějinách
středoevropských kultur
ALESSANDRO CATALANO
Università di Padova - Univerzita v Padov
Padově
5
Pag. 169
Pietro Andrea Mattioli: architettura ed effimero alla
corte imperiale alla fine del XVI secolo
Pietro Andrea Mattioli: architektura a efemérnost
na císařském dvoře na konci XVI. století
GUIDO CARRAI
Università di Firenze - Univerzita ve Florencii
Pag. 195
Miti classici, nazionali e agiografici tra Friuli e Boemia
Klasické, národní a hagiografické mýty
z furlanského a českého prostředí
AGNUL FLORAMO
I.T.C.G. “Giuseppe Marchetti”, Gemona del Friuli
Střední škola Josefa Marcheta,, Glemone
Pag. 223
Incontri con la commedia dell’arte italiana nell’ambiente
multiculturale del regno di Boemia nei secoli XVI-XVIII
Setkání italské komedie dell’arte s multikulturním
prostředím Českých zemí v 16.-18. století
KATEŘINA BOHADLOVÁ
Università “Carlo IV”, Praga - Univerzita Karlova v Praze
Pag. 243
Il teatro italiano in Moravia nel XIX e XX secolo
Italské divadlo na Moravě v 19. a 20. století
JIŘÍ ŠPIČKA
Università “F. Palacký”,, Olomouc
Univerzita Palackého v Olomouci
6
ALESSANDRO CATALANO
Università degli studi
Padova
L’italiano lingua di cultura dell’Europa centrale
nell’età moderna
Dopo decenni di tristi constatazioni sullo stato degli studi
dedicati ai rapporti culturali ceco-italiani e al ruolo dell’italiano come lingua di cultura nell’Europa centrale dell’età moderna,1 negli ultimi tempi non mancano segnali incoraggianti che
le future analisi di questo affascinante tema di studio, spesso
dimenticato o trattato in modo superficiale, possano finalmente coinvolgere anche la Boemia, dove il fenomeno del transfer
culturale è stato più intenso che altrove.2 Tuttavia non casuale
mi sembra l’evidente sottovalutazione della Boemia nel primo
recente tentativo di tracciare una mappa dell’influenza delle
culture romanze a est delle Alpi.3 Alcune interessanti mostre
hanno però contribuito a mettere in luce aspetti parziali di una
fitta rete di rapporti culturali che decisamente meriterebbe un
progetto culturale di più ampio raggio.4 Quanto significativi potrebbero essere, anche in questo caso, i risultati di un progetto
(magari europeo) di analisi capillare delle biblioteche e degli archivi cechi, è testimoniato dal grande successo di un’iniziativa
parzialmente analoga intrapresa negli archivi mantovani.5 Il lavoro da fare resta infatti notevole, visto che in passato la storia
letteraria e culturale dell’Europa centrale è stata semplificata e
banalizzata, nel tentativo di renderla omogenea alle storie letterarie nazionali faticosamente ricostruite a partire dalla fine del
Settecento.
Dopo la lunga fase preparatoria cinquecentesca, nel corso
della quale forti ondate migratorie, dovute in gran parte alle
guerre di religione, hanno trasformato la mappa linguistica
dell’Europa, è nel Seicento che nei territori degli Asburgo si
è cristallizzata un’interessantissima situazione di plurilinguismo,
per cui latino, italiano, tedesco, ceco, ungherese e altre lingue “minori” hanno, in misura diversa da stato a stato, potuto
coesistere l’una accanto all’altra. Sorprendentemente la storia
letteraria che siamo abituati a leggere nei manuali scolastici ha
cancellato da quest’elenco, e in modo particolare in Boemia,
proprio l’italiano.6 Mentre piuttosto noto è il ruolo svolto dal lati117
no in Ungheria o dall’italiano stesso in Polonia, meno noti sono
i risvolti assunti dal “dominio culturale” dell’italiano in Austria e
Boemia.7 Ai lettori attenti non sarà però sfuggito quanto spesso
negli ultimi anni i documenti citati nelle note dei più significativi
lavori storiografici siano scritti in italiano (corrispondenze, relazioni, rielaborazioni storiografiche). E chiunque abbia studiato
negli archivi degli aristocratici del Seicento sa bene quanto difficile sia analizzare la vita di gran parte di essi senza conoscere
l’italiano.8
Essenziale è stato il ruolo ricoperto dalla corte viennese, che
per la sua struttura linguistica particolare è stata giustamente
definita una “polyglot court”9 e descritta come uno spazio aperto in cui la concorrenza tra i cortigiani avviene anche a livello linguistico.10 Emblematico è del resto un passaggio dell’istruzione
ricevuta nella seconda metà del Seicento dal nunzio Pignatelli:
“la buona memoria del defunto imperatore [Ferdinando III] curioso dell’idioma italiano aveva in modo introdotta nella corte
cesarea la nostra lingua che quasi non si parlava di continuo
con altra, onde i cavalieri a gara procuravano di viaggiare in
Roma e rendersi possessori di questa”.11 Leopoldo stesso, che
usava spesso l’italiano nella sua corrispondenza, aveva scritto
che “essendo noi poi allemani, convenirebbe meglio il scrivere
nela nostra lingua materna. Ma scrivendovi sol di comedie e
simili affari importantissimi ut scilicet, ho scielto la lingua italiana”.12 Crescimbeni a sua volta, all’inizio del Settecento, riteneva
che “se gl’Italiani le an dato l’essere, dall’Augustissima Casa
d’Austria ha ella ricevuto il colmo della sua grandezza, e del suo
splendore”. 13 Ancora a metà del XVIII secolo l’identificazione
della “nazionalità” sulla base di un criterio linguistico è impensabile, visto che anche Moser riconosce che “die Sprache des
Hofs ist nicht allemand zugleich die Sprache der Nation” e che
“die Hof-Sprachen sind veränderlich, weilen dabey vieles auf
die Neigung eines Herrn in besondere ankomt”14.
Il fenomeno dello spostamento degli italiani verso l’Europa
centrale era cominciato nel corso del Cinquecento, soprattutto
nel corso dei regni di Ferdinando I e Rodolfo II, come conseguenza della forza espansiva della moda rinascimentale.15 Nella
seconda metà del secolo diverse famiglie nobili italiani, per lo
più provenienti dalle regioni venete, trientine e friulane, hanno
contatti stabili con l’Europa centrale e la Boemia in particolare:
Arco, Attems, Carretto, Colloredo, Gonzaga, Magni, Morzin,
Nogarola, Porcia, Rabatta, Sforza, Spinola, Strozzi, Thun, della
Torre. Tra gli architetti e le maestranze edili gli italiani rappresentavano la seconda “nazionalità” dopo i cechi e avevano una
sorta di esclusiva sulle commesse migliori. Anche tra i mercan118
ti, soprattutto legati alla corte, gli italiani erano particolarmente
numerosi. Com’è noto la comunità italiana aveva colonizzato
una parte di Malá strana e gravitava attorno alla cappella degli italiani (con la congregazione della Beata vergine assunta
in cielo) e all’ospedale,16 istituzioni sovvenzionate per lo più da
lasciti pii (il 13 agosto del 1656 Ferdinando Antonio Chiesa
avrebbe ad esempio lasciato tutte le sue sostanze all’ospedale
italiano). 17
Contrariamente a quanto avrebbe poi affermato la propaganda cattolica e gesuita, molti di questi italiani non erano però
visti con particolare simpatia dalle gerarchie cattoliche, tanto
che ancora nel 1622 un francescano si indignava per il loro
“infernale disordine” e richiedeva a Roma l’istituzione di una
speciale inquisizione per
rimediare alla moltitudine e copia d’italiani che sono nelle metropoli particolari dell’Austria, cioè in Vienna, della Boemia, cioè in Praga, e della Stiria,
cioè in Gratz, quali per il più vanno là non solo per occasione di mercantie o
guerre, ma per non haver più quell’arduo pensiero di confessarsi, per non
haver distintioni de giorni di carne e pesce, per far matrimonio con chi più li
piace, per leggere que’ libri che’l van il capriccio, per haver libera e sciolta
lingua a proferir qualsivoglia spropositione, per spriggionare l’intelletto dal
soave carcere dell’ossequio di Christo e finalmente per vivere in libertà di
conscentia, che in pochissimo spatio di tempo diventano atheisti che col
loro mal essempio offoscano di maniera la luce della catholica verità, che
durando in sì fatta maniera di vivere loro, sarà impossibile a chi per ciò si
affatica, a farla vedere.18
Già nel 1592 il nunzio Camillo Caetani aveva del resto messo in guardia il suo successore Cesare Speciano:
con l’italiani che sono a questi paesi, V.S. tenga per regola infallibile,
che patiscano eccettione e difetto et che per lo più sono inimici de’ religiosi
et di ecclesiastici che hanno autorità, et non aspetti da loro avvertimenti fraterni o aiuto, ma sospetti sempre o d’inganno o di curiosità o di maldicenze,
et (salvando sempre l’honore de’ buoni) non potrà errare.19
Questo è probabilmente uno dei motivi del perché proprio
Speciano si sarebbe rivelato un attivo promotore nella pubblicazione di libri di carattere religioso in italiano a Praga verso la
fine del Cinquecento.20
Gli impulsi che nella prima metà del Seicento avrebbero alimentato quella che può ormai essere definita la moda dilagante
dell’italiano (come nel secolo precedente era avvenuto per lo
spagnolo e in quello successivo avverrà per il francese) saranno vari e multiformi: favore dei sovrani, appartenenza all’impero di vaste porzioni dell’Italia odierna, legislazione favorevole,
identità confessionale, mancanza di manodopera specializzata
119
(fenomeno particolarmente evidente nell’architettura), sviluppo
di vere e proprie reti commerciali gestite da famiglie italiane,
maggiori possibilità di impiego, curiosità per le meraviglie d’Italia e per gli “intrattenimenti” di provenienza italiana, legami familiari con le famiglie italiane approdate in Europa centrale. Per
quest’insieme di fortunate e sfortunate circostanze, in parte
dovute anche alla mancanza di uno stato unitario e alla tradizionale incapacità dell’Italia di evitare la “fuga dei cervelli”, alcuni
mestieri nevralgici della società di tutta l’Europa centrale sono
rimasti per decenni nelle mani degli specialisti italiani, fossero
essi mercanti, militari, diplomatici, segretari, religiosi, architetti
o artisti e letterati di vario tipo.21 Per tornare al caso specifico della Boemia basterà ricordare che perfino i responsabili di
un’attività così delicata come l’esazione delle tasse sono stati
per quasi tutto il Seicento italiani (Francesco Chiesa, Antonio
Binago, Giovanni Antonio Losio).
Proprio il caso del poliglotta Losio è particolarmente interessante per comprendere anche quali imprevedibili tragedie
personali potessero precedere l’emigrazione e la successiva
fortuna in un paese straniero in un’epoca in cui la mobilità sociale era particolarmente elevata. Nel 1618 una gigantesca
frana aveva travolto la città di Piuro in provincia di Sondrio, e
sotto di essa erano perite diverse famiglie: il giovane Giovanni
Antonio Losio, probabilmente seguendo dei parenti della madre, era stato costretto a cercare fortuna in Europa centrale. A
partire dal 1627 il suo nome è attestato a Praga, dove nel 1645
avrebbe poi ottenuto il redditizio impiego di ispettore cesareo
sulle tasse del vino, della birra e del sale.22 L’integrazione della
famiglia nel contesto praghese è attestata non soltanto dalla
futura fama in campo musicale dell’omonimo figlio, ma anche
dal fatto che Losio stesso, nel 1648, si sarebbe rivelato uno
dei più attivi oppositori degli svedesi che stringevano l’assedio
attorno a Praga: “il Losio ha fatto un compagnia di mercanti et
altri amici in Praga di 150 huomini, che guereggia per la diffesa
della città sotto la propria bandiera e tamburo”.23
Parzialmente diverso sarà il caso di alcuni membri della famiglia lucchese Barsotti, mercanti che avevano creato una fitta
rete commerciale in Europa nella prima metà del Seicento.24
Già negli anni Venti ci sono tracce dell’attività di Vincenzo Barsotti a Cracovia,25 di Stefano a Norimberga26 e di Lelio presso
la corte imperiale.27 Tra i figli di quest’ultimo, Nicolò sceglierà
di farsi cappuccino (già nel 1626 viene citato come uno degli
aiutanti di Valeriano Magni) e diventerà un apprezzato teologo
nonché autore di diverse opere spirituali in italiano e tedesco in
gran parte pubblicate a Vienna.28 Ancora più interessante sarà
120
però la carriera di suo fratello, Giovanni Battista Barsotti, che
nella seconda metà degli anni venti sarebbe diventato maestro
di camera del cardinale Ernst Adalbert von Harrach e si sarebbe trasferito in Boemia (proprio tra le sue carte si è peraltro
conservata la celebre relazione di Ottavio Piccolomini sul “tradimento” di Wallenstein pubblicata da Jedin).29 Nel 1638 avrebbe
poi ottenuto l’importante incarico di agente del cardinale presso la Santa sede e si sarebbe trasferito a Roma, dove sono
ancora oggi conservate le preziosissime lettere che Harrach
gli spediva ogni settimana.30 I suoi legami con la città natale di
Lucca e la sua mediazione avrebbero giocato un ruolo importante nell’arrivo in Europa centrale di uno dei fondatori della
tradizione operistica, il librettista imperiale Francesco Sbarra.31
Al termine del conclave del 1655 sarebbe stato accusato di
aver tramato contro l’elezione del nuovo papa e sarebbe stato
costretto a ritirarsi a vita privata, almeno fino a quando, nel
1662, Harrach gli avrebbe proposto di prendere il posto del
suo maggiordomo appena deceduto, Giuseppe Corti, offrendogli anche il posto di suo suffraganeo. Barsotti sarebbe allora tornato a Praga, dove avrebbe trascorso gli ultimi due anni
della sua vita con quel titolo vescovile che aveva per decenni
inseguito invano.32
L’accenno alla provenienza lucchese dei Barsotti ci permette di provare a interpretare il compesso fenomeno della mobilità
sociale verso l’Europa centrale alla luce dei rapporti tra il Sacro
Romano Impero e l’ordinamento statale italiano nel corso dell’età moderna.33 Benché il periodo di “decadenza” dell’autorità
imperiale sia stato molto lungo (almeno tra l’incoronazione di
Carlo V a re d’Italia del 1530 e gli scontri tra Leopoldo I e Innocenzo XII alla fine del Seicento), i tentativi settecenteschi di
riaffermarla dimostrano che il ricordo dei legami feudali di gran
parte dell’Italia settentrionale all’impero non era mai scomparso del tutto. Oltre ai casi della Toscana, di Milano, Modena,
Mantova, Massa, del Monferrato, di Parma e Piacenza e delle
città di Genova e Lucca, si trattava anche di moltissimi “feudi”
minori per di più dell’Italia settentrionale (cioè proprio quelli in
cui si muovevano molte delle famiglie “di confine”: Gonzaga,
Carretto, Malaspina, Pallavicino, Doria, Spinola).34 La situazione italiana era per di più complicata dalla compresenza di
due politiche feudali (quella spagnola e quella imperiale) che
offrivano alle singole famiglie differenti possibilità di carriera,
dalle quali dipendeva in gran parte la scelta della strategia che
poteva portare all’ottenimento di un feudo. Tutti ancora da studiare sono non soltanto le modalità d’intervento della corte in
occasione di qualsivoglia controversia, ma anche i meccanismi
121
in base ai quali venivano avvantaggiati coloro che potevano
vantare una provenienza da un feudo imperiale.
Di tutta questa complessità sociale, economica e politica il
XIX secolo ha fatto tabula rasa. Esistono naturalmente casi in cui
i legami feudali, il ruolo di singoli italiani e della lingua italiana non
sono stati dimenticati, ma in generale la rimozione è stata completa. L’esempio più significativo, al contrario della situazione
dell’architettura o della musica, è probabilmente proprio quello
della lingua e della letteratura. La diffusione dell’italiano e della
letteratura italiana hanno dovuto infatti fare i conti con le furibonde discussioni scatenatesi sul bilinguismo tedesco e ceco, che
hanno anacronisticamente ridotto il cosmopolitismo seicentesco
a una lotta tra le due lingue ottocentesche della Boemia.
Indirettamente però la salda posizione dell’italiano (e quindi
anche le carriere di tanti italiani) viene confermata anche dal
forte anti-italianismo che attraversa tutto il Seicento, in particolare all’interno degli eserciti imperiali.35 Già nel 1631 il nunzio
Ciriaco Rocci scriveva ad esempio a Roma che Torquato Conti
era “poco sodisfatto” perché “questi tedeschi vedono mal volentieri, che gli italiani si avanzino”36 e tre anni dopo che “nell’armata regna qualche disunione fra le nationi, non piacendo
agli alemanni, che commandino nelle cariche principali italiani,
e stranieri”.37 Nel 1637, quando il nuovo imperatore Ferdinando III aveva imposto profonde riforme a tutta la corte, il nunzio
Malatesta Baglioni scriverà a sua volta allarmato che “il nipote
del Piccolhomini ha stentato assai a ottener il titolo di camerier
secreto, et in riguardo del zio l’ha spuntato, perché nel resto
si vede tuttavia più, che la natione italiana è tirata indietro”.38
Giudizi che varrà la pena mettere a confronto con le parole
contenute in una delle prime relazioni della Boemia pubblicate
da un italiano:
li soldati sono migliori de’ capitani, mercé che alcuni capitani per l’imbecillità del giuditio, & per la continua crapola, & ebrietà si rendono come
indegni, così inhabili ad ogni reggimento militare... per fare buona riuscita
ricercherebbe capitano anzi italiano, che spagnolo, più tosto che boemo...
A questo capitano forestiero gioverebbe in estremo il posseder la lingua
boema.39
Com’è noto particolarmente interessante è stato il ruolo ricoperto dagli italiani nella vicenda della caduta di Albrecht von
Wallenstein. Se già tra i contemporanei aveva suscitato notevole disappunto che fossero stati proprio gli italiani, nelle mani
dei quali Wallenstein si era affidato, a “tradirlo” definitivamente,
in realtà lo stesso Wallenstein aveva nutrito a lungo una profonda diffidenza nei confronti dei comandanti italiani:
122
Il duca di Fridlant si mostra poco bene affetto agl’italiani, havendo il
conte Biglia, et il marchese Rangone rinuntiato i reggimenti per disgusti
ricevuti. Ha levato similmente il reggimento al signor Luigi Gonzaga, fratello
del prencipe di Bozzolo, vi è chi dice per qual mancamento commesso dal
medesimo Gonzaga. Fra’ Ottavio Piccolomini è poco sodisfatto, e si lascia
intendere di haver animo di abbandonare il servitio finita questa campagna.
Il conte Migna, che è hoggi il favorito del generale, non vede volentieri ne’
carichi gl’italiani, oltre l’essere assai difficile il durar lungamente col generale
che è di natura capricciosissimo.40
Da Roma un sorpreso Francesco Barberini aveva risposto che “gl’italiani sono stati sempre di molto momento nelle
guerre di Germania, onde non so quanto sia util consiglio al
disgustargli”.41 Da questo tipo di critiche non era indenne nemmeno il fratello dell’imperatore Leopold Wilhelm: quando Lamberg aveva scritto al cardinale Ernst Adalbert von Harrach che
“l’arciduca viene hora governato da meri italiani, il che dispiace
assai alli stati in Ratisbona”, Harrach gli aveva sintomaticamente risposto che “l’Hatzfeld considera puoco il servitio dell’imperatore, a disgustarsi così facilmente, se non habbiamo tedeschi
qualificati, bisogna ben servirsi de’ forestieri per forza”.42
Questa ostilità era comunque a volte percepibile anche
nella vita quotidiana: quando ad esempio Adam Georg von
Martinitz uccide dentro casa sua l’amante italiano della moglie
Giovanna (nata Gonzaga di Castiglione)43 scoppia una specie di
“caccia agli italiani” conniventi; negli anni Trenta gli studenti dell’università praghese minacciavano “rademus barbas italis”;44
e alla fine degli anni Sessanta infine Leopoldo I rimprovererà
bonariamente Jan Humprecht Czernin (a sua volta sposato con
un’italiana) “ma caro voi, a che termine state, che teniate adesso tanti zeli e paure delli Italiani, delli quali un tempo [foste] sì
gran protettore”.45
Anche in precedenza più volte era stata proprio la provenienza italiana a bloccare la carriera dei collaboratori dell’arcivescovo di Praga Harrach, come sarebbe avvenuto più volte
nel caso del suo maggiordomo Giuseppe Corti:
havendo io promesso al maggiordomo il mio suffraganeato quando
vacasse, purché l’imperatore se n’accontenti, egli diede per mezzo del P.
Quiroga un memoriale alla imperatrice, la quale ne doveva disponere S.
Maestà, ma hebbe subito la negativa che hora non n’era il caso, et che S.M.
voleva che tali carichi si conferissero da me a soggetti nationali.46
Se ormai sono chiari i motivi che hanno portato in passato
a sottovalutare il ruolo culturale giocato dall’Italia per buona
parte del Seicento, il secolo in cui l’italiano ha raggiunto la sua
massima espansione come lingua franca, ci si potrà al limite
123
stupire che il momento di maggior diffusione non sia corrisposto al periodo di massima fioritura culturale (il rinascimento),
ma a quello di un declino che nel corso del Seicento sarebbe
divenuto sempre più marcato.47 Il fenomeno è stato causato
soprattutto dal perdurante successo della moda culturale italiana. Anche per via della rivalità degli Asburgo con la Francia,
l’italiano ha potuto conquistare con una certa facilità il rango di
lingua delle classi colte, delle corti, dei salotti aristocratici, delle
accademie e persino della corrispondenza privata. Tiraboschi
avrebbe poi notato che “così mentre la nostra lingua in alcune provincie d’Italia giacevasi trascurata, e da un vizioso stile
riceveva danno ed oltraggio, avea nella stima degli stranieri un
troppo onorevole compenso”.48 E proprio lui si sarebbe rivelato
tra i più radicali critici dell’epoca che lo aveva preceduto: “e
nondimeno pur troppo dobbiam confessare che fra’ poeti di
questo secolo il maggior numero è di quelli le cui poesie or non
possono aver altr’uso che di servir di pascolo alle fiamme o alle
tignuole, o d’esser destinate anche a più ignobile uffizio”49.
Proviamo a fare delle sonde nella corrispondenza degli aristocratici: Bernard Ignaz von Martinitz, il grande “avversario”
di Bohuslav Balbín, scrive a quasi tutti gli aristocratici cechi e
austriaci in italiano, e lo stesso vale per il cardinale-arcivescovo
Harrach (la cui corrispondenza è al 70% in italiano) e, almeno
in parte, per diversi membri delle famiglie Waldstein, Nosticz,
Lobkowitz, Dietrichstein. Alcune donne italiane che hanno seguito i propri mariti in Europa centrale non hanno nemmeno
bisogno di imparare il tedesco e riescono a intrattenere normali rapporti sociali in italiano (Lavinia Maria Thekla Gonzaga di
Novellara è riuscita ad esempio a difendere la sua dote senza
conoscere bene né il ceco né il tedesco). Interessante è anche
il numero delle dame di corte italiane giunte a Vienna: su un
numero totale di 179 finora identificate, il 5% risulta di provenienza italiana e poco meno del 10% tirolese. Se il campione si
restringe però alle dame di Eleonora Gonzaga arriviamo però
rispettivamente all’8 e 16%, tra le quali si trovano ad esempio una o più giovani delle famiglie Agnelli, Aldegatti, Cavriani,
Collalto, Formentini, Ippoliti di Gazoldo, Lodron, Nogarola, Valmarana.50 E saranno proprio i matrimoni tra queste dame e i
nobili locali a dare luogo, con il passare del tempo, al fenomeno
unico di quella nobiltà internazionale austroungarica che verrà
poi tanto celebrata nel XIX secolo. Naturalmente non mancano
nemmeno i casi di donne boeme che si trasferiscono al seguito
dei mariti in Italia: particolarmente interessante è ad esempio
il caso delle due sorelle Bibiana e Francesca von Pernstein,
andate spose ad Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona e Fran124
cesco Gonzaga di Castiglione. Al nome della seconda non è
legata soltanto la costruzione della Pernesta a Caserta (che fa
coppia con il Casino pernestano di Castiglione delle Stiviere),
ma anche lo scandalo del tradimento del marito con la nipote,
anch’essa boema, Marta Polyxena von Fürstenberg.51
Come dimostrano anche molti altri matrimoni successivi la
provenienza territoriale degli sposi conserva comunque per tutto il Seicento un significato importante. Le famiglie italiane che
hanno acquisito signorie nei turbolenti anni successivi alla battaglia della Montagna bianca di solito mantengono stretti legami con i parenti italiani, nonostante nella maggior parte dei casi
si possa notare una veloce integrazione in Europa centrale. Ed
è così che i vari Rambaldo Collalto, Matthias Gallas, Ottavio
Piccolomini, Rodolfo Colloredo, Francesco Magni, Francesco
Antonio Carretto di Millesimo, solo per citare i nomi più importanti, diventeranno a loro volta protagonisti della diffusione della
moda italiana in Europa centrale.52 E che non si sia trattato di
un fenomeno caratteristico soltanto dell’esplosivo periodo della
guerra dei Trent’anni, lo dimostra anche il libro dei confratelli
della congregazione italiana di Praga, che tra il 1636 e il 1788
riporta i nomi di 845 nuovi membri.53
Non a caso, nella retorica settecentesca di un volume celebrativo dei grandi condottieri italiani, viene rivendicato con
particolare orgoglio proprio l’impegno costruttivo e culturale di
questi italiani all’estero:
Amano gl’italiani la gloria al pari d’ogn’altra nazione; ma per conseguirla
più soda, più durevole, e meno odiosa, anno riputato mezzo migliore il meritarsela coll’impiegare le ricchezze comuni, e le particolari nelle magnificenze
de’ pubblici, e de’ privati edifizj, tanto sacri quanto profani, nell’adornamento delle città, nello scoprire nuovi ritrovati, tanto nelle scienze, quanto nelle
arti liberali, nell’aumento delle manifatture, e del negozio, piuttosto che negli
apparecchi militari, e ne’ steccati di guerra; ove sovente accade, che i primi
trionfi, riusciti pur anco dispendiosissimi a’ vincitori, vadano a terminare in
infauste, luttuose, e obbrobriose tragedie.54
In alcuni casi l’avventura bellica era cominciata dal basso,
come soldati semplici (Ottavio Piccolomini o Innocenzo Conti ad esempio), in altri il passaggio negli eserciti imperiali era
dovuto a una precisa valutazione economica (probabilmente è
questo il caso di Matthias Gallas). L’investimento del patrimonio
di famiglia negli eserciti rappresentava naturalmente un passo
rischioso, ma – si pensi all’enorme patrimonio accumulato da
Albrecht von Wallenstein – in certi casi si sarebbe rivelato fortunato. Naturalmente sono spesso motivi personali a portare
alla scelta della carriera militare,55 ma è pur sempre un dato
125
significativo che nel 1633 ben 18 dei 109 reggimenti dell’esercito imperiale risultano essere “italiani” (alcuni dei quali però
provenienti da territori appartenenti agli Asburgo).56 Profondamente errata è comunque l’idea che si trattasse sempre e solo
dei cadetti poveri di famiglie più note:57 Rambaldo Collalto ad
esempio rinuncerà a tutti i suoi possessi in Italia a favore dei
fratelli, Torquato Conti a una già avviata carriera ecclesiastica, mentre altri provenivano da famiglie già ben installate in
Europa centrale, come Francesco Magni o Rodolfo Colloredo
(quest’ultimo aveva ad esempio ricevuto da Rodolfo II una ricca
commenda già alla nascita).
In Boemia tra i quindici nobili che nel 1655 risultano tra i
maggiori possidenti terrieri troviamo anche tre “italiani” con una
carriera militare alle spalle (Gallas, Piccolomini e Colloredo)58 e
la stessa topografia di Praga risulterebbe, senza i loro massicci
investimenti finanziari, alquanto diversa. Si pensi ad esempio
al grande palazzo con un bellissimo giardino barocco del già
citato Rodolfo Colloredo (oggi sede dell’ambasciata americana), una delle figure meno studiate del Seicento. La sua attività
di promotore culturale è invece ben attestata nel corso degli
anni nei diari del cardinale Harrach. Nel 1657 Harrach arriverà
addirittura al punto di identificarlo come il principale artefice
delle feste della città: “in Vienna preparano academie, comedie, balletti e festini per il carnevale, noi qui lo passaremo assai
magramente, perché ci manca il capo maestro di tali feste, cioè
il conte Coloredo, il quale tocco dalla banda destra dalla goccia
non puotrà rihaversene così presto da tal accidente”.59 Alla luce
di quanto detto, del tutto anacronistica è l’abusata immagine
degli avvoltoi calati sul suolo boemo, che meriterebbe di essere
messa da parte una volta per tutte.60
La presenza di molti nobili implica naturalmente la presenza
di un nutrito gruppo di “tecnici” italiani (segretari, copisti, amministratori, donne di compagnia) che devono avere precise
conoscenze linguistiche, e hanno la necessità di essere aggiornati su cosa accade nella penisola. Anche per questo motivo
aumenta la lettura di fogli volanti e gazzette manoscritte provenienti dall’Italia (Roma, Milano, Bologna e, soprattutto, Venezia), ed esistono anche in Boemia collezioni che hanno poco
da invidiare alle celebri Fugger Zeitungen. Sfruttando i canali
commerciali spesso costruiti da italiani si moltiplicano i contatti
epistolari (le corrispondenze vivono del resto nel Seicento la
loro età d’oro). Il costo delle gazzette manoscritte le rende naturalmente accessibili soltanto alle famiglie dell’alta aristocrazia
(Schlick, Nosticz, Slavata, Harrach, Martinitz, Lobkowitz, Dietrichstein, Schwarzenberg) – mentre a livelli sociali più bassi ci
126
si “abbonava” invece alle più economiche gazzette tedesche
– ma è evidente che le notizie lette venivano poi dibattute nei
salotti e circolavano in ambienti sociali molto più vasti. Harrach
stesso è autore di un corpus particolarmente esteso di “foglietti” manoscritti in italiano (e, in misura minore, in tedesco),
che coprono gli anni dal 1630 al 1667 e rappresentano una
fonte storica unica per la conoscenza della storia della Boemia
di quegli anni.61 Varrà la pena di aggiungere che questa lunga
tradizione di relazioni e giornali, che circolavano manoscritti in
ambiti familiari e privati, porterà poi a Vienna alla nascita di un
vero e proprio giornale in italiano, Il coriere ordinario.
È poi il fattore religioso a connotarsi come uno dei principali motori di diffusione di culti e cerimonie religiose di provenienza italiana: come ha sottolineato Evans, la “Controriforma
non poté mai spogliarsi di una certa dimensione italiana”.62 La
protezione e il sostegno degli Asburgo, il lavoro capillare nella
società da parte degli ordini religiosi, la fede della nobiltà sono
i fattori principali di quella profonda “italianizzazione” delle mentalità che provocherà una profonda trasformazione del paesaggio ceco, riempito, nel corso del Seicento, di chiese, cappelle,
calvari, monti sacri, imitazioni della santa casa di Loreto, e infine sfocerà poi nel diffusissimo culto popolare di San Giovanni Nepomuceno, rintracciabile ancora oggi nelle campagne di
tutta l’Europa centrale.63
Per ovvi motivi più difficile è analizzare l’influenza italiana in
campo letterario: qualunque sia il giudizio che vogliamo dare
della letteratura italiana di questo periodo è però un dato di fatto che, in una fase di guerre ininterrotte, gli aristocratici passassero gran parte del proprio tempo libero leggendo e mettendo
in scena testi bucolici e pastorali, spesso di provenienza italiana
(frequenti sono però anche le messe in scena riconducibili alla
tradizione della commedia dell’arte).64 Nel 1632, ad esempio,
in piena emergenza bellica, il cardinale Harrach, i suoi parenti
ed amici trascorrevano piacevolmente l’attesa leggendo nella
campagna boema Il pastor fido.65 I libri trovati alla morte del
già citato fratello del cardinale, Otto Friedrich (che di mestiere faceva il militare) sono quasi tutti italiani, e tra questi non
mancano naturalmente l’Adone e La lira di Marino, La secchia
rapita di Tassoni e le Rime di Tasso.66 E non è un caso che tutti
i testi siano in lingua originale, visto che in molte biblioteche
aristocratiche la sezione dedicata ai libri italiani è spesso la più
nutrita.67
Emblematiche del gusto dell’epoca sono anche le poesie
delle figure principali della corte viennese: scrivono versi in italiano imperatori, imperatrici e arciduchi. Questo verseggiare di
127
massa rientra nel fenomeno più vasto della fruizione culturale
all’interno delle corti, che trova la sua più tipica manifestazione
nelle accademie letterarie, forma di intrattenimento prediletta degli intellettuali di tutt’Europa. I risultati più significativi di
questa stagione sono i due volumi Poesie diverse composte
in hore rubate d’academico occupato (Ferdinando III) e i Diporti dell’accademico crescente (Leopold Wilhelm). In Svezia
sono poi conservati molti altri testi manoscritti, portati via dagli
svedesi nel 1648 e praticamente sconosciuti agli storici della letteratura, che testimoniano quanto intensa fosse questa
produzione letteraria, sfociata poi in una vera accademia.68 Di
Eleonora il nunzio d’Elci scriverà ad esempio che
è dotata d’ingegno così versatile, e spiritoso, che non solamente ha
saputo con artificio mirabile accomodarsi alli costumi della Germania nell’haverne appreso a meraviglia bene il linguaggio, ma si è talmente resa
somigliante al genio dell’Imperatore medesimo... Egualmente gode della
musica, egualmente compone.69
Ancora più evidente in questa relazione è il ruolo ricoperto da Leopold Wilhelm, il principale promotore dell’accademia
viennese:
Fu seguace di Marte, quanto veneratore di Minerva, togato insieme,
et armato, comprovò con l’esempio convenirsi alla maestà di gran principe, l’essere non meno armato di lettere, che decorato dall’armi; quindi è,
che cessando dal maneggio di quelle per secondare il suo genio erudito,
non meno che dell’imperatore suo fratello, volle, che si eregesse in Vienna
un accademia italiana sotto gl’auspicij dell’istesso Cesare, che però doppo
d’haver fatto prima esporre per mezzo del generale Montecuccoli a diversi
cavalieri di quella natione, in concetto d’esser versati in tal sorte di letteratura, questi suoi sentimenti, ordinò, che si portassero alle proprie sue stanze,
come seguì sotto il giorno 28 del mese di dicembre, et havendo quivi in
breve giro di parole manifestato loro il suo desiderio, che teneva di fondare
un’accademia di belle lettere in lingua italiana, la propensione grande dell’imperatore medesimo, come pure dell’imperatrice, sopra di ciò essortando
ciascuno a voler proporre il modo, che tenere si suole nell’accademie ben
ordinate in Italia, risolvette finalmente, che per essere ancora nel principio,
non si potendo venire per all’hora a dichiaratione d’offitiali, o d’altri ministri,
come si usa nell’altre accademie, esser bene d’incominciare con dare un
problema sopra del quale tanti per una parte come per l’altra haverebbero
potuto esporre brevemente il proprio parere a favore contro di quello, che le
fosse toccato in sorte di sostenere, essortando in oltre a portare componimenti poetici, secondo il piacimento di ciascheduno. Dieci furono li soggetti,
che chiamò l’arciduca per fare l’accademia, a’ quali soggiunse, che in risguardo della stima, che veniva fatta di quell’attione haverebbero concorso
altretanti cavalieri alemanni, e camerieri dell’imperatore, e renderla più vaga
tramezzando li componimenti con concerto d’instromenti musicali.70
128
Le accademie seicentesche naturalmente non vanno valutate sulla base dell’originalità dei temi trattati, ma come espressione della dimensione sociale della cultura cortese espressa
nella lingua culturale dell’epoca, l’italiano. In Boemia componeva testi letterari in italiano ad esempio il già citato conte Czernin,
autore tra le altre cose delle Rime rozze uscite di penna ignorante di H.C. in consideratione della caducità di nostra vita.71
Certo, molta di questa eclettica poesia punta tutto sull’inaspettato, sul sorprendente, e quindi sull’effimero, e, invece di sbalordire il lettore, provoca quello strano effetto di trasformazione
della “meraviglia” in monotonia, se non addirittura in noia, che
affligge ai nostri occhi gran parte della poesia del Seicento.
È comunque evidente che enorme diffusione non significa qualità letteraria: i poeti italiani, veri o sedicenti tali, che
circolavano in tutt’Europa nel XVII secolo, avevano spesso
lasciato alle spalle situazioni economiche e intellettuali piuttosto precarie, seguendo in fondo il celebre esempio di Marino,
andato a cercare miglior fortuna alla corte francese. Secondo
lo storico fiorentino Galluzzi, a Vienna, “qualunque italiano mediocremente esperto nella poesia e letteratura della sua patria
era sommamente caro a quei principi, i quali lo ammettevano
ben volentieri alla domestica loro conversazione”.72 Ovviamente non tutti i letterati italiani ne avevano bisogno e Innsbruck,
uno dei principali centri della musica italiana, viene liquidato nel
1661 da Salvator Rosa, poeta e pittore piuttosto eccentrico,
in questo modo: “[dicono] ch’io sia per fare il viaggio d’Isprucch. Questo, Ricciardi mio, è motivo e desiderio del Cesti, non
volontà determinata di Salvatore, il quale stima così Spucch
quanto voi i peli dei vostri coglioni”.73
Non è quindi un caso che tutti coloro che ricoprivano l’allora prestigioso titolo di poeta di corte siano oggi dimenticati e
la lettura delle loro poesie, conservate in gran numero in molti
archivi delle grandi famiglie aristocratiche, contribuisca a rinforzare l’impressione che nel corso del Seicento, soprattutto in
questi generi periferici ma molto visibili, la forza creativa della
letteratura italiana si fosse sempre più atrofizzata e che la sua
reale influenza culturale fosse divenuta sempre più marginale (a
differenza delle arti, del teatro e della musica, dove la cultura
italiana avrebbe invece conservato ancora a lungo un significativo valore qualitativo). Il vertice del pretenzioso e spesso noioso verseggiare che ha dominato tutto il secolo è naturalmente
rappresentato dalla poesia d’occasione, il genere letterario più
praticato ovunque ci fosse una corte e qualcuno disposto a
sborsare qualcosa in cambio di un paio di versi in rima.
Nella critica letteraria ceca il problema si presenta in modo
129
molto più complesso, visto che il problema del rifiuto della cultura dell’aristocrazia è così profondo (e così legato alla
questione della lingua, dell’identità nazionale e religiosa) che
spesso si è preferito rifiutare del tutto la sua tradizione letteraria cosmopolita e poliglotta, piuttosto che accettare il fatto
che essa non abbia prodotto praticamente nulla in ceco. Per
questo motivo il quadro letterario è stato ristretto ai pochi testi
esistenti in ceco, prodotti quasi sempre al di fuori degli ambienti
aristocratici. Molte volte, anche in tempi recenti, si è sperato di
risolvere il problema riprendendo le indagini negli archivi alla
ricerca di manoscritti sconosciuti. A mio parere però, anche
se si trovasse un’intera traduzione manoscritta dell’Adone, la
cosa, data la sua unicità, significherebbe ben poco e andrebbe
comunque interpretata come un esercizio di stile individuale,
lontanissimo dalla vasta e consapevole attività traduttoria della
nobiltà polacca.74 Per comprendere l’ampiezza del problema
resta probabilmente un esercizio utile provare, anche solo per
un attimo, a immaginare che cosa resta dell’architettura e musica barocca senza l’apporto del mecenatismo aristocratico,
per rendersi conto fino a che punto sia giunta la schizofrenia
di quelle storie letterarie che hanno provato a ricostruire la vita
culturale del barocco ceco soltanto sulla base dei testi scritti
in ceco.
Non bisogna pensare infatti che la letteratura ceca non abbia subito una forte influenza diretta da parte della letteratura
italiana: si può anzi affermare che la traduzione di testi italiani sia
stata fondamentale per l’assimilazione dei codici simbolici della
controriforma.75 Oltre alle opere pubblicate (spesso in latino) da
tutti quei religiosi italiani che la controriforma aveva catapultato
dall’Italia nei paesi governati dagli Asburgo, molto importante è
stata la traduzione di testi dall’italiano. Non è vero infatti che nel
Seicento dall’italiano in ceco (e, in misura maggiore, in tedesco)
non si traduce, il problema è avere ben presente che cosa e
perché si traduce. Di recente è stata ripubblicata la brillante traduzione ceca della Prigione eterna dell’inferno di G.B. Manni,
che costituisce il risultato più interessante di quel processo di
appropriazione di un codice culturale cattolico a lungo rimasto estraneo all’Europa centrale.76 Come avviene anche in altre
zone d’Europa, si traducono quindi soprattutto i testi pedagogico-religiosi prodotti dai religiosi italiani.
Anche il cardinale Harrach ad esempio traduce e, per essere un cardinale, traduce parecchio.77 Sollecitato dalle mogli
colte degli aristocratici viennesi traduce in tedesco una gamma
molto varia di testi: si va da un classico della letteratura religiosa dell’epoca, il Viaggio al monte Calvario di Cesare Franciot130
ti,78 alla fortunata e a suo tempo scandalosa favola pastorale
Filli di Sciro del conte Guidobaldo Bonarelli,79 dal celebre Inganno d’amore di Benedetto Ferrari all’Uranie di Montagathe,80
per finire addirittura con L’Astrée di Honoré d’Urfé, uno dei
bestseller simbolo della cultura nobiliare europea del Seicento.81 Ecco quindi che il mondo spirituale del cortigiano cattolico
si ricompone e assume una nuova dimensione, nella quale la
letteratura d’argomento religioso ed edificante coesiste senza
problemi accanto al romanzo cortese per eccellenza. La sua
corrispondenza testimonia per altro un intenso traffico librario
con tutt’Europa e contatti molto interessanti perfino con gli autori “austriaci” protestanti (nella sua biblioteca non mancano
nemmeno le opere di Machiavelli).
A questo punto si spiegherà facilmente anche perché non
solo non esista una traduzione ceca del Cortegiano, ma perché
manchino quasi del tutto traduzioni di uno dei generi più fortunati del Seicento, la precettistica. Non quindi perché strategia, prudenza e calcolo fossero assenti in Europa centrale, ma
semplicemente perché la nobiltà non sentiva il bisogno di una
loro mediazione linguistica in ceco. Per certi aspetti diverso era
il caso del tedesco, per il quale quest’esigenza restava invece
viva (anche se per lo più lontano dai confini degli Asburgo) e
avrebbe poi preso sempre maggior vigore nel corso del Settecento. In ogni caso, anche se è oggettivamente molto più
difficile valutare la diffusione di un testo in lingua originale che
contare le sue traduzioni, non si possono certo sottovalutare la
diffusione e il successo dell’Adone e del Pastor fido in Europa
centrale semplicemente perché le condizioni storico-linguistiche dell’epoca non ne hanno reso necessaria la traduzione in
ceco.
Per restare alla Boemia, si pensi alla citata mediazione del
cardinale Harrach nel caso di Francesco Sbarra (e ancora tutta
da rivalutare è la sua passione per il teatro che ha stimolato la
messa in scena di molti spettacoli originali), o alla sua collaborazione con due degli spiriti più inquieti del Seicento, Valeriano
Magni e Juan Caramuel y Lobkowitz (poi a sua volta vescovo in
Italia). Ma si potrebbero aggiungere molti altri intellettuali meno
noti, a ulteriore testimonianza del fatto che Harrach, facendo
suo il modello posttridentino del vescovo rappresentato idealmente da Carlo Borromeo, ha rappresentato per almeno cinquant’anni uno dei principali poli di diffusione della cultura italiana in Boemia e una vera e propria cerniera tra la vita culturale
italiana, viennese e praghese. Nel 1634 i piani alti della familia
del cardinale erano pressoché interamente occupati da italiani:
il maggiordomo (Giuseppe Corti), il maestro di Camera (Gio131
vanni Battista Barsotti), il maestro di stalla (Girolamo Giugni),
il maestro di casa (Flaminio Vignola), il cappellano e maestro
di cerimonie (Vincenzo Leporio), il segretario italiano (Flaminio
Rossi), l’agente viennese (Cesare Vezzi), un gentiluomo utilizzato anche come segretario (Carlo Fornarini) e un altro gentiluomo “mezzo svizzero” (Giovanni Baur).82 Anche in seguito
la maggior parte dei suoi collaboratori più intimi resteranno di
provenienza italiana: Florio Cremona, Francesco Visenteiner,
Antonio Talenti, Antonio Ludovico Malfatti, Pietro Panicali. Del
tutto italianizzati erano anche alcuni altri stranieri che Harrach
aveva reclutato nel corso dei suoi soggiorni romani (tra gli altri
Gerard de Schlessin, Petrus Davans, Egidius Rubin) e spesso anche con i “nazionali” il cardinale corrispondeva in italiano
(Jan Ctibor Kotva, Kaspar Karas), a ulteriore testimonianza
del frequentissimo uso dell’italiano come lingua di comunicazione non solo nella sua familia, ma anche nella comunicazione
all’interno della diocesi.83 Come si evince da un maccheronico
tentativo di lettera tedesca del maggiordomo Corti, la maggior
parte di essi aveva peraltro una conoscenza a dir poco approssimativa non solo del ceco, ma anche del tedesco.84 Come
però scriveva Valeriano Magni all’inizio dell’attività riformatrice,
“li migliori soggetti doveranno esser forestieri”, visto che “quasi
ogni cosa buona intorno al governo ecclesiastico deve esser
novella in Boemia”, anche se le “odiose” riforme provocano
forti resistenze e i “paesani” più vicini all’arcivescovo vengono
considerati “rubelli et nemici della patria”. 85
Ma potremmo continuare ancora a lungo: l’opera polemica dello stesso Magni e quindi la nascita di un pensiero filosofico di matrice non gesuita è infatti incomprensibile senza
aver presente la costante tensione tra Harrach e i gesuiti e le
violente polemiche praghesi del cappuccino milanese (e senza avere presente il successo della predicazione cappuccina
non si comprenderebbero nemmeno l’operato precedente di
Lorenzo da Brindisi e quello successivo di Marco d’Aviano).
Tutt’altro che secondario per comprendere l’ampiezza dei legami dell’Italia con l’Europa centrale è anche l’interesse con
cui il curioso cappuccino aveva osservato tutta la vicenda di
Galileo Galilei e che aveva portato ai ripetuti tentativi di Pieroni
di pubblicare i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a
due nuove scienze attenenti alla meccanica e ai movimenti locali prima in Moravia e poi in Boemia.86
Analoghi centri economici, politici, ma anche culturali legati
all’Italia erano naturalmente rappresentati dalle corti non solo
delle imperatrici e arciduchesse italiane, ma anche di tutte le
famiglie “italiane” ormai stabilmente insediate in Europa centra132
le. Tra questi un ruolo di primo piano è ricoperto da Raimondo
Montecuccoli non solo per le sue creazioni letterarie, alle quali
andrebbe sicuramente dedicata un’attenzione maggiore, ma
soprattutto per le sue riflessioni sulla guerra e sugli eserciti che
hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione nel modo di
trattare il tema della guerra. Oltre alle tante poesie sparse e ai
vari testi letti nelle accademie, Montecuccoli ha lasciato anche
un monumentale Zibaldone manoscritto, vera e propria miniera
di citazioni (soprattutto da Campanella), poi ripetutamente usato nei suoi testi più famosi.
E, per tornare a un campo più affine alla letteratura, basti
pensare a uno dei generi di maggior successo dell’età barocca, quella storiografia politica tanto apprezzata da Croce, che
ne aveva fatto uno dei capitoli più importanti della sua Storia
dell’età barocca in Italia, e che sarebbe praticamente inesistente senza l’apporto non solo degli storiografi di corte Vittorio
Siri, Galeazzo Gualdo Priorato e Giovanni Battista Comazzi, ma
anche di quelle figure poliedriche come il già citato Gregorio
Leti.87 Il grande successo degli storici italiani all’estero avrebbe
poi irritato non poco la generazione posteriore, come testimoniano le parole di Tiraboschi: “anzi dobbiam confessare che i
più illustri storici che produsse in questo secolo l’Italia, più che
delle vicende della lor patria, furon solleciti di tramandare a’
posteri la memoria delle straniere, forse perché parve loro che
più luminoso argomento di storia esse somministrassero”.88
Si tratta di una lunga tradizione storiografica in italiano
che ha sfruttato la sua maggiore libertà d’espressione rispetto alla coeva storiografia tedesca e che, per quanto riguarda
la Boemia, verrà onorevolmente conclusa dalla monumentale
opera manoscritta del medico Bartoloni da Empoli,89 arrivato
in Europa centrale come membro della corte di Gian Gastone
de’ Medici. Proprio “l’ultimo dei Medici”90 del resto, costretto
a vivere nella provincia boema, nei beni dell’arrogante moglie
che credeva “di essere la più gran Signora del mondo per aver
quelle quattro zolle in Boemia”91, rappresenta un’altra di quelle
figure banalizzate dalla storiografia che ha sempre visto in lui
l’ultimo esponente depravato di una dinastia allo sbando92. E
proprio Gian Gastone invece, che al suo ritorno a Firenze si
sarebbe dimostrato un degno continuatore del noto mecenatismo mediceo nei confronti della cultura, aveva portato con
sé in Boemia anche una parte di quella vivace vita culturale
rappresentata dalle accademie fiorentine di fine secolo.93 Non
a caso proprio a lui, che troviamo anche tra i benefattori della
congregazione degli italiani di Praga,94 è dedicata una delle prime grammatiche del ceco.95 In ogni caso la fatica fatta dal figlio
133
di uno dei più omaggiati sovrani europei per ottenere la cittadinanza del paese (ius incolatus) in cui stava per trasferirsi e la
successiva guerra tra i rispettivi cortigiani, tra i quali “in breve si
accese lo spirito di partito tra i fiorentini di Giovanni Gastone, e i
boemi della principessa”96, sono segnali fin troppo chiari di quei
fenomeni di “nazionalizzazione” che agli albori del Settecento
stavano attraversando tutta l’Europa.
Nelle riflessioni del medico Bartoloni, autore non solo di un
curioso ditirambo dedicato al vino ceco,97 ma anche delle monumentali (e mai pubblicate) Istorie de’ Duchi e Re di Boemia,98
trapela più volte la sorpresa dell’intellettuale accademico italiano davanti a una tradizione storica molto diversa da quella
a lui nota:
intendo puramente sforzarmi nell’ufizio d’istorico, scrivendo almeno
quel, che mi par più certo. Non però chiedo, che si credano portate qui le
certezze maggiori, in cose variamente raccontate anche fra nazionali vissuti
vicino a’ que’ tempi. Dimando solo, che se saranno talvolta discordanti i
miei dagli altri racconti, attribuiscasi ad animo di riferire quanto presso di
me ebbe prove, o congetture migliori, non a pensiero di rifiutare l’affermato
da persone degne di riverenza, alle quali occorsero più gagliardi motivi di
sentirne altrimenti.99
C’è motivo di credere che siano stati proprio questi “più gagliardi motivi” a provocare nel secolo successivo la cancellazione sistematica delle consistenti tracce lasciate dalle minoranze
italiane e dall’italiano nell’Europa centrale. La storia culturale
della lunga età barocca è stata allora a tal punto riscritta che
il celebre poeta ceco Jan Kollár ha potuto eleborare la sua famosa (e solo apparentemente delirante) teoria della derivazione slava degli italiani. In quest’ottica perfino i prestiti lessicali
italiani di parole ben note a chiunque abbia avuto in mano un
manoscritto dell’età moderna hanno nella sua interpretazione
tutt’altra origine:
Tra la lingua slava e quella italiana molti sono i punti di contatto e i legami sia per quello che riguarda la struttura che la forma, ma in modo tale che
quelli slavi sono in maggioranza più antichi e originali, mentre quelli italiani
sono più recenti e sembrano essere stati presi in prestito da noi; siccome,
a quanto sappiamo, nessuno ha ancora dedicato a questo fenomeno la
giusta attenzione, presentiamo qui ciò che ci è capitato sotto gli occhi nel
corso del nostro viaggio.100
E anche se la lista presentata da Kollár di ipotetiche influenze linguistiche è ben lontana dal convincere il lettore odierno,
rivela in modo fin troppo palese quale sia stato l’atteggiamento
di gran parte degli intellettuali dell’Ottocento nei confronti dei
due secoli che li avevano preceduti.
134
Note
(1) A lungo l’unica opera complessiva dedicata alla ricezione da parte italiana
è rimasta A. Cronia, Čechy v dějinách italské kultury (tisíciletá žeň), Praha 1936.
Pionieristico e ancora oggi importante è stato l’interessante volume curato da Z.
Hojda, Itálie, Čechy a střední Evropa, Praha 1986. Per uno sguardo d‘insieme
sulla situazione linguistica dell‘Europa in età moderna si veda ora P. Burke,
Lingue e comunità nell‘Europa moderna, Bologna 2006. Sulla diffusione della
letteratura italiana in Europa centrale, benché limitato alla sola corte viennese,
è fondamentale U. De Bin, Leopoldo I imperatore e la sua corte nella letteratura italiana, Trieste 1910. Il precedente M. Landau, Die italienische Literatur am
österreichischen Hofe, Wien 1879, risulta oggi invece molto invecchiato. Solo di
recente è stato pubblicato un interessante lavoro di Kalista degli anni Sessanta,
Z. Kalista, „Itálie a česká barokní literatura / L‘Italia e la letteratura del barocco
ceco“, a cura di Alessandro Catalano e Martin Valášek, eSamizdat 2004 (II) 3,
pp. 211-233; http://www.esamizdat.it/archivi/catalano1.htm. Divulgativo è il libro
di G. Cengiarotti, Considerazioni introduttive intorno ai caratteri della presenza
italiana in Boemia (sec. XVI–XVIII). Lineamenti storici, Poggibonsi 1987. Per quanto riguarda gli artisti italiani a Praga resta insostituibile P. Preiss, Italští umělci
v Praze, Praha 1986.
(2) S. Graciotti - J. Křesálková (a cura di), Barocco in Italia, Barocco in
Boemia. Uomini, idee e forme d’arte a confronto, Roma 2003 (ne esiste anche
una traduzione ceca: V. Herold - J. Pánek (a cura di), Baroko v Itálii - baroko v
Čechách. Setkávání osobností, idejí a uměleckých forem, Praha 2003); A. Catalano (a cura di), “O misera Boemia...”, Souvislosti, 2002 (XIII), 3/4, pp. 5-164.
(3) G. Platania (a cura di), La cultura latina, italiana, francese nell’Europa centro-orientale, Viterbo 2004. Per i rapporti dell’Europa centrale con Roma si veda il
recente M. Sanfilippo - A. Koller - G. Pizzorusso (a cura di), Gli archivi della Santa
Sede e il mondo asburgico nella prima età moderna, Viterbo 2004.
(4) A. Pazderová - L. Bonelli Conenna (a cura di), Siena v Praze. Dějiny,
umění, společnost..., Praha 2000; Z. Hojda - J, Kašparová (a cura di), Bohemia-Italia. Češi ve Vlaších a Vlaši v Praze, Praha 2000; Opus italicum. Architetti
italiani rinascimentali e barocchi a Praga, Praga 2001. Importante è stata anche
la pubblicazione del recente A. Trezza Cabrales (a cura di), La congregazione
italiana di Praga. Luoghi e memorie dell’Istituto Italiano di Cultura, Praha-Kutná
Hora 2003.
(5) U. Artioli - C. Grazioli (a cura di), I Gonzaga e l’Impero. Itinerari dello spettacolo. Con una selezione di materiali dall’Archivio informatico Herla (1560-1630),
Firenze 2005. Riallacciandosi idealmente ai preziosi volumi di S. Ferrone (a cura
di), Comici dell’Arte. Corrispondenze, I-II, Firenze 1993, e E. Venturini (a cura di),
Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra la Corte Cesarea e Mantova (1559-1636),
Cinisello Balsamo 2002, il volume ricostruisce in modo eccellente i canali del tranfer culturale tra Mantova e l’Europa centrale. L’articolo di O.G. Schindler “Viaggi
teatrali tra l’Inquisizione e il Sacco. Comici dell’arte di Mantova alle corti degli
Asburgo d’Austria”, ibidem, pp. 107-160, rappresenterà ancora a lungo il testo
classico di riferimento per ogni studioso italiano che voglia occuparsi della diffusione della commedia dell’arte nei territori di lingua tedesca a nord delle Alpi.
(6) Diversi suggerimenti interessanti per ricerche future sono contenuti nei
seguenti articoli: J. Polišenský, “Rassegna delle fonti per la storia e la cultura
italiana in Cecoslovacchia”, Historica, 1967, 14, s. 271-278; idem, “Le relazioni
tra la Boemia e l’Italia al tempo di Giordano Bruno e Galileo Galilei”, Philologica pragensia. Časopis pro moderní filologii, 1981 (LXIII), 24, s. 6-12; Z. Hojda,
“Zastavení nad novým soupisem italik od Jaroslavy Kašparové a nad literaturou k
česko-italským vztahům vůbec”, Folia historica bohemica, 1991, 15, s. 481-497.
(7) Per quanto riferiti a un periodo più tardo si vedano le osservazioni intro-
135
duttive contenute nei brevi interventi di C. Grassi, W. Forsthofer e R. Weilguny,
contenuti in “Premesse per uno studio dell’italiano come lingua nazionale sotto
la monarchia astrungarica”, L. Coveri (a cura di), L’italiano allo specchio. Aspetti
dell’italianismo recente. Saggi di linguistica italiana, Torino 1991, pp. 155-180.
(8) Si veda quanto importanti possano essere le fonti dell’epoca in italiano
persino nel caso di una personalità come Bernhard Ignaz von Martiniz e per
una realtà regionale come quella di Slaný, A. Catalano, “Příběh jednoho mýtu:
Bernard Ignác z Martinic – kardinál Arnošt Vojtěch z Harrachu – jezuité”, Slánské
rozhovory 2005, Slaný 2006, pp. 25-34.
(9) J.P. Spielman, The City and the Crown. Vienna and the Imperial Court
1600-1740, West Lafayette 1993, p. 202.
(10) W.M. Wuzella, “Untersuchungen zu Mehrsprachigkeit und Sprachgebrauch am Wiener Kaiserhof zwischen 1658 und 1780”, in V. Bůžek - P. Král (a
cura di), Šlechta v habsburské monarchie a císařský dvůr (1526-1740), České
Budějovice 2003, pp. 415-438.
(11) [G. Leti], Segreti di Stato dei Principi d’Europa rivelati da varii confessori
a beneficio comune di tutti quelli che maneggiano affari pubblici e per soddisfazione dei più curiosi, Bologna 1671-1676, II, p. 51. Un momento importante
dell’assimilazione della cultura italiana era naturalmente rappresentato dal Länderreis europeo dei giovani aristocratici, che trascorrevano di norma soggiorni
di molti mesi in Italia. Per una prima informazione generale sul fenomeno si veda
ora R. Babel - W. Paravicini (a cura di), Grand Tour. Adeliges Reisen und europäische Kultur vom 14. bis zum 18. Jahrhundert [Beihefte der Francia 60], Ostfildern
2005; e per la Boemia A. Catalano, “L’Educazione del principe: Ferdinand August
Leopold von Lobkowitz e il suo primo viaggio in Italia”, Porta Bohemica, 2003,
2, pp. 104-127; e Z. Hojda, “Kavalírské cesty v 17. století a zájem české šlechty
o Itálii”, in idem (a cura di), Itálie, Čechy a střední Evropa, Praha 1986, pp. 216239. Il resoconto letterario più interessante è quello di un giovane Czernin (in
ceco, tedesco, italiano, francese, spagnolo), Praha, Národní knihovna, XXIII F 30,
XXIII F 43, Heřman Jakub Černín, Diarium, sul quale si può leggere A. Catalano
(a cura di), “Heřman Jakub Černín: Deník z cesty po Itálii”, Souvislosti, 2002 (XIII),
3/4, pp. 113-123.
(12) P. Maťa, Svět české aristokracie (1500-1700), Praha 2004, p. 799,
nota 103.
(13) G.M. Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia... nella seconda impressione, fatta l’anno 1714 d’ordine della Radunanza degli Arcadi, corretta,
riformata, e notabilmente ampliata; e in questa terza pubblicata unitamente coi
Comentarj intorno alla medesima, riordinata, ed accresciuta, Venezia 1730-1731,
I, pp. 181-182.
(14) F.C. Moser, Abhandlung von den Europäischen Hof- und Staats-Sprachen nach deren Gebrauch im Reden und Schreiben, Franckfurt am Mayn 1750,
pp. 11, 18.
(15) J. Janáček, “Italové v předbělohorské Praze (1526-1620)”, Pražský
sborník historický, 1983, 16, s. 77-118 (ne esiste anche una versione francese:
“Les Italiens à Prague à l’époque précédant la bataille de la Montagne Blanche
(1526-1620)”, Historica, 23, 1983, pp. 5-45). Per l’Europa centrale non esiste
comunque un testo paragonabile a J.F. Dubost, La France italienne. XVIe-XVIIe
siècle, Paris 1997.
(16) Si veda la precisa ricapitolazione di A. Bortolozzi, “La Congregazione
della Beata Vergine Maria Assunta in Cielo. Religione e carità nella migrazione
degli italiani a Praga in età moderna”, in A. Trezza Cabrales (a cura di), La congregazione italiana di Praga. Luoghi e memorie dell’Istituto Italiano di Cultura,
Praha-Kutná Hora 2003, pp. 11-25.
(17) J.F. Hammerschmid, Prodromus gloriae Pragenae, Pragae 1723, pp.
480-498 (su Chiesa p. 497).
(18) I. Kollmann (a cura di), Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide
res gestas Bohemicas illustrantia, I/1, Pragae 1923, p. 201.
(19) Ivi, p. 199.
136
(20) E. Rangognini, “Le cinquecentine praghesi del nunzio Speciano”, Annali
della biblioteca statale e libreria civica di Cremona. Studi e bibliografie, 1987, 3,
pp. 67-95; idem, “Pražské latinské a italské tisky vydané z iniciativy a nákladem
papežského nuncia Cesare Speciana”, Knihy a dějiny, 4, 1997, 1, pp. 1-20.
(21) L’argomento ha una lunga tradizione storiografica: A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Torino, Einaudi 1949; C. Morandi, “Italiani
nella vecchia Austria” [1941], in idem, Scritti storici, a cura di A. Saitta, Roma,
1980, I, pp. 526-531; idem, “Italiani in Ungheria e in Transilvania” [1941], in ibidem, pp. 532-537; idem, “Appunti e documenti per una storia degli Italiani fuori
d’Italia (A proposito di alcune note di Antonio Gramsci)” [1949], in ibidem, pp. 7884; A. Catalano, “Moltissimi sono i verseggiatori, pochi i poeti. La cultura italiana
nell’Europa centrale del XVII e XVIII secolo”, eSamizdat, 2004 (II), 2, s. 35-50;
http://www.esamizdat.it/catalano_art_eS_2004_(II)_2.pdf. Da non sottovalutare
è anche il recente tentativo di interpretare il fenomeno sulla base dei fenomeni
migratori proposto in chiave comparativa da G. Pizzorusso - M. Sanfilippo, “Prime
approssimazioni per lo studio dell’emigrazione italiana nell’Europa centro-orientale, secc. XVI-XVII”, in G. Platania (a cura di), La cultura latina, italiana, francese
nell’Europa centro-orientale, Viterbo 2004, pp. 259-297. Per quanto riguarda le
città tedesche si veda anche il recente A. Pühringer, “‘E tutta questa miseria è
italiana’. Italienische Emigranten in deutschen Städten des 17. und 18. Jahrhunderts”, in Th. Fuchs - S. Trakulhun (a cura di), Das eine Europa und die Vielfat der
Kulturen. Kulturtransfer in Europa 1500-1850, Berlin 2003, pp. 353-377.
(22) Su Losi si veda il bell’articolo di P. Zelenková - M. Mádl, “The destruction
of Piuro and the rise of the Losy of Losinthal family on the thesis broadsheet after
Johann Fridrich Hess of Hesice from 1667 / Zkáza Piura a vzestup Losyů z Losinthalu na univerzitní tezi podle Jana Brdřicha Hesse z Hesic z roku 1667”, Bulletin
of the National Gallery in Prague, 12-13 (2002-2003), pp. 6-24, 110-123.
(23) Wien, AVA, FA Harrach, Hs 453, 1648 X 16. Sulle leccornie che si potevano consumare nella Praga del Seicento si veda anche la seguente citazione del
diario del cardinale Ernst Adalbert von Harrach: “siamo andati dal conte Losio a
desinare [...] e vi siamo stati trattati benissimo, se bene non haveva questa volta
li suoi vini d’Italia. Tiene egli per vivande regalate certe lumaghe grosse del suo
paese, ma perché sono accommodate coll’aglio, io non l’ho provate. Habbiamo
poi passato il giorno tutto alla beste, et ha perso una sessantina di silberducati il
solo conte Schlick. Si lasciorno vedere tutti li suoi figlioli che sono 2 maschi e 2
femine, et il maschio maggiore mi ricevette con una breve ceremonia in latino”,
Wien AVA, FA Harrach, HS 462, 1657 I 21.
(24) R. Mazzei, Itinera mercatorum. Circolazione di uomini e beni nell’Europa
centro-orientale 1550-1650, Lucca 1999, p. 66. Per altri particolari si veda anche
idem, Traffici e uomini d’affari italiani in Polonia nel Seicento, Milano 1983.
(25) G. Ptaśnik, Gli italiani a Cracovia dal XVI secolo al XVIII, Roma 1909,
p. 98.
(26) R. Mazzei, Itinera mercatorum. Circolazione di uomini e beni nell’Europa
centro-orientale 1550-1650, Lucca 1999, p. 66.
(27) Ibidem, p. 106.
(28) F. da Montignoso, L’ordine dei minori cappuccini in Lucca (1571-1788),
Lucca 1910, pp. 67-82, 130-131.
(29) H. Jedin, “Die Relation Ottavio Piccolominis über Wallensteins Schuld
und Ende”, Zeitschrift des Vereins für Geschichte Schlesiens, 65, 1931, pp.
328-357.
(30) Su questa fase della sua vita si veda H. Jedin, “Propst G.B. Barsotti,
seine Tätigkeit als römischer Agent deutschener Bischöfe (1638-1655) und seine
Sendung nach Deutschland (1643-1644)”, Römische Quartalschrift für christliche
Altertumskunde und für Kirchengeschichte, 39, 1931, pp. 377-425.
(31) A. Catalano, “L’arrivo di Francesco Sbarra in Europa centrale e la mediazione del cardinale Ernst Adalbert von Harrach”, in B. Marschall (a cura di),
Theater am Hof und für das Volk. Beiträge zur vergleichenden Theater- und Kulturgeschichte. Festschrift für Otto G. Schindler, Maske und Kothurn, 2002 (XL-
137
VIII), 1-4, pp. 203-213.
(32) A. Catalano, La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert
von Harrach e la Controriforma in Europa Centrale (1620-1667), premessa di A.
Prosperi, Roma 2005, p. 494.
(33) Sulla complessità dei variabili rapporti statali interni alla monarchia
asburgica e con gli stati italiani si vedano almeno: S. Pugliese, Le prime strette
dell’Austria in Italia, Milano 1932; K.O. v. Aretin, “Reichsitalien von Karl V. bis zum
Ende des Alten Reiches. Die Lehensordnungen in Italien und ihre Auswirkungen
auf die europäische Politik”, in idem, Das Reich. Friedensordnung und europäisches Gleichgewicht 1648-1806, Stuttgart 1986, pp. 76-163; idem, Das Alte
Reich 1648-1806, I-III, Stuttgart 1993-1997; K. Vocelka, “Das Ringen um Positionen in Italien: Die Habsburgermonarchie und die italienische Staaten 1683 bis
1790/1796”, in P. Chiarini - H. Zeman (a cura di), Italia-Austria: alla ricerca del
passato comune, Roma 1995, pp. 221-234; M. Schnettger, “Das alte Reich und
Italien in der frühen Neuzeit. Ein institutionengeschichtlicher Überblick”, Quellen
und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXIX (1999), pp.
344-420; nonché il recentissimo M. Schnettger - M. Verga (a cura di), L’Impero
e l’Italia nella prima età moderna / Das Reich und Italien in der Frühen Neuzeit,
Bologna-Berlin 2006.
(34) In italiano per una prima introduzione al problema si veda K.O. von
Aretin, “L’ordinamento feudale in Italia nel XVI e XVII secolo e le sue ripercussioni sulla politica europea”, Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento,
4, 1978, pp. 51-93. Numerosissime erano le cause che venivano giudicate dal
consiglio aulico: secondo Aretin nel solo XVII secolo si sarebbe trattato di ben
590 contenziosi, Ivi, p. 64.
(35) Per un fenomeno analogo nella Francia del XVI secolo si veda H. Keller,
Anti-Italianism in Sixteenth-Century France, Toronto-Buffalo-London 2003.
(36) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, 1631 III 22, Roma, Archivio Segreto Vaticano, Segr. Stato, Germania, 121, ff. 79v-82v.
(37) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, 1634 IV 1, Roma, Archivio Segreto
Vaticano, Segr. Stato, Germania, 128, ff. 82r-84r.
(38) Malatesta Baglioni a Francesco Barberini, 1637 IV 11, Roma, Archivio
Segreto Vaticano, Segr. Stato, Germania, 132, f. 82r-v.
(39) G.F. Olmo, Relationi della Repubblica di Venetia, del Regno di Polonia,
et del Regno di Boemia, Venetia 1628, p. 47.
(40) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, Roma, Archivio Segreto Vaticano,
Segr. Stato, Germania, 124, 1632 VIII 28, ff. 28r-29v.
(41) Francesco Barberini a Ciriaco Rocci, Roma, Archivio Segreto Vaticano,
Segr. Stato, Germania, 124, 1632 IX 18, ff. 34r-35v.
(42) Johann Maximilian von Lamberg a Ernst Adalbert von Harrach, 1640 XI
16, Wien, AVA, FA Harrach, Hs. 268, f. 24v.
(43) P. Maťa, Svět české aristokracie (1500-1700), Praha 2004, pp. 557558.
(44) A. Catalano (a cura di), “Studentská píseň proti kardinálu Harrachovi”,
Souvislosti, 2002, 3-4, pp. 47-51.
(45) Cito dal secondo volume non pubblicato dell’edizione di Z. Kalista delle lettere di Leopoldo I a Jan Humprecht Czernin, Praha, Památník Národního
Písemnictví, Z. Kalista, Rukopisy vlastní, Korespondence císaře Leopolda I s H.J.
Černínem z Chudenic, Díl II /VII, 1668 VII 12. Si vedano anche i mormorii della
nobiltà boema alla notizia del matrimonio di Czernin con una dama di corte italiana: Z. Kalista, Mládí Humprechta Jana Černína z Chudenic. Zrození barokního
kavalíra, I-II, Praha 1932, I, p. 227.
(46) Wien, AVA, FA Harrach, Hs. 298, 1639 X 27.
(47) H. Hendrix, “Persistenza del prestigio nell’età della crisi”, Storia della
letteratura italiana, diretta da E. Malato, XII. La letteratura italiana fuori d’Italia,
coordinato da L. Formisano, Roma 2002, pp. 437-482; A. Catalano, Moltissimi
sono i verseggiatori, pochi i poeti. La cultura italiana nell’Europa centrale del XVII
e XVIII secolo, eSamizdat, 2004 (II), 2, s. 35–50; http://www.esamizdat.it/catala-
138
no_art_eS_2004_(II)_2.pdf.
(48) G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana [Classici italiani del secolo
XVIII], Milano 1824, XIV, p. 93.
(49) Ibidem, XV, p. 660.
(50) K. Keller, Hofdamen. Amtsträgerinnen im Wiener Hofsaat des 17.
Jahrhunderts, Wien-Köln-Weimar 2005, pp. 56-58.
(51) L. Giorgi, Caserta e gli Acquaviva. Storia di una corte dal 1509-1634,
Caserta 2004, pp. 35-52, 109-113.
(52) Per una panoramica generale si veda G. Hanlon, The twilight of a military
tradition. Italian aristocrats and European conflicts, 1560-1800, London 1998
e i contributi raccolti in Th.M. Barker, Army, Aristocracy, Monarchy: Essays on
War, Society, and Government in Austria, 1618-1780, New York 1982. Tra i molti
esempi particolari possibili, a cui si rimanda anche per le relative bibliografie,
si vedano almeno: G. Benzoni, “Rambaldo Collalto”, Dizionario biografico degli
italiani, 26, Roma 1982, pp. 782-788; P. Balcárek, “Dobyvatel Mantovy”, Studie
muzea Kroměřižska 1980, pp. 76-92; P.A. Passolunghi, I Collalto. Linee, documenti, genealogie per una storia del casato, Treviso 1987; R. Becker, “Mattia
Galasso”, Dizionario biografico degli italiani, 51, Roma 1998, pp. 355-359; J.
Kilián, “Jan Matyáš Gallas pohledem kritické historiografie”, Fontes Nissae, 3,
2002, pp. 37-59; G. Benzoni, “Rodolfo Colloredo”, Dizionario biografico degli italiani, 27, Roma 1982, pp. 86-91; O. Elster, Piccolomini-Studien, Leipzig 1911; P.
Balcárek, “František Magnis a Morava na sklonku třicetileté války”, Studie muzea
Kroměřižska 1982, pp. 4-28; H. Piquer, Francesco Antonio del Carretto marquis
de Grana, ambassadeur impérial en Espagne et conseiller de Philippe IV, tesi di
dottorato, Paris 1998; S. Andretta, “Torquato Conti”, Dizionario biografico degli
italiani, 28, Roma 1982, pp. 180-184. Da una forte connotazione ideologica è
contraddistinto V. Mariani - V. Varanini, Condottieri italiani in Germania, Milano
1941.
(53) A. Bortolozzi, “La Congregazione della Beata Vergine Maria Assunta in
Cielo. Religione e carità nella migrazione degli italiani a Praga in età moderna”,
in A. Trezza Cabrales (a cura di), La congregazione italiana di Praga. Luoghi e
memorie dell’Istituto Italiano di Cultura, Praha-Kutná Hora 2003, p. 21.
(54) Scelta di azioni egregie operate in guerra da generali e soldati italiani nel
secolo ultimamente trascorso Decimo Settimo di Nostra Salute, cioè dall’anno
MDC fino al MDCC e singolarmente da tre supremi comandanti di eserciti Conte
Mattia Galasso trentino, duca Ottavio Piccolomini sanese, conte Raimondo Montecuccoli modenese, Venezia 1742, p. 3.
(55) Sull’importanza delle fonti in italiano per la guerra dei Trent’anni si veda
l’enorme percentuale di documenti in italiano citati nei sette volumi dell’edizione
Documenta Bohemica Bellum Tricennale illustrantia, I-VII, Praha-Wien-Köln-Graz
1971-1981.
(56) Th.B. Barker, “Generalleutnant Ottavio Fürst Piccolomini. Zur Korektur
eines ungerechten historischen Urteils”, Österreichische Osthefte, 22, 1980, p.
367, nota 77.
(57) Questo è quanto sembra sostenere anche P. Maťa, Svět české aristokracie (1500-1700), Praha 2004, pp. 148-150.
(58) Ibidem, pp. 170-171.
(59) Ernst Adalbert von Harrach a Johann Maximilian von Lamberg, 1657 I
13, 1228, 17/259, 33.
(60) Si veda come nei medaglioni di Gualdo Priorato non manchi mai il riferimento agli studi letterari: “allevato nello studio di buone lettere, e de’ più nobili
esercitij cavallereschi” (Rambaldo Collalto), “fu educato con quella disciplina, ch’è
più confacevole a cavaliere di corte, e negl’esercitij di corpo, e nelle lettere” (Fabrizio Coloredo), “ha studiato i migliori autori; è intendente di quanto è stato scritto, & operato; ha veduta quasi tutta l’Europa, e presa conoscenza delle qualità
d’ogni natione” (Montecuccoli), G. Gualdo Priorato, Vite, et azzioni di personaggi
militari, e politici, Vienna 1674 (non paginato).
(61) A. Catalano, “Die Tagebücher und Tagzettel des Kardinals Ernst Adal-
139
bert von Harrach”, in J. Pauser - M. Scheutz - Th. Winkelbauer (a cura di), Quellenkunde der Habsburgermonarchie (16.-18. Jahrhundert). Ein exemplarisches
Handbuch [Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung,
Ergänzungsband 44], Wien 2004, pp. 781-789; idem, “Il diario italiano di Ernst
Adalbert von Harrach (1598-1667)”, in S. Graciotti - J. Křesálková (a cura di), Barocco in Italia, Barocco in Boemia. Uomini, idee e forme d’arte a confronto, Roma
2003, pp. 269-290; idem, “Italský deník kardinála Arnošta Vojtěcha z Harrachu a
bouřlivý rok 1638”, Souvislosti 13, 2002, 3-4, pp. 29-33.
(62) R.J.W. Evans, Felix Austria, Bologna 1981, p. 394.
(63) Si veda K.A. Huber, “Italienische Kultmotive im Barock der böhmischen
Länder” [1982], in idem, Katholische Kirche und Kultur in Böhmen. Ausgewählte
Abhandlungen, a cura di J. Bahlcke - R. Grulich, Münster 2005, pp. 415-453.
(64) Sull’influsso dell’italiano e della letteratura italiana perfino sulla nobiltà
protestante austriaca (e in particolare sulla più significativa autrice barocca Catharina Regina von Greiffenberg) si veda H. Cerny, “Der Einfluss der italienischen
Sprache und Literatur auf die niederösttereichische Adelskultur im 17. Jahrhundert”, in P. Chiarini - H. Zeman (a cura di), Italia-Austria: alla ricerca del passato
comune, Roma 1995, pp. 267-291.
(65) Si vedano le molte testimonianze contenute negli estratti manoscritti
della sua corrispondenza, Wien, AVA, FA Harrach, HS 297.
(66) Wien, AVA, FA Harrach, 748, Verlassenschaft, 1639.
(67) Si veda il ricchissimo catalogo in dieci volumi della famiglia Lobkowitz:
J. Kašparová (a cura di), Roudnická lobkowiczká knihovna. Jazykově italské tisky
1501-1800. Biblioteca dei Lobkovic in Roudnice. Edizioni stampate in italiano
1501-1800, Praha 1990-1995. Per quanto riguarda i manoscritti Černý ha individuato, all’interno delle lingue romanze, l’assoluta predominanza di quelli in italiano
e spagnolo rispetto a quelli in francese (dove il rapporto tra quelli in italiano e quelli
in spagnolo è a sua volta di sette a tre), V. Černý, “Rukopisy, psané románskými
jazyky, v pražských knihovnách”, Studie o rukopisech, 1962, pp. 65-108. Perfino
un’interessante sonda nelle biblioteche private dei borghesi praghesi dimostra
come un ottavo di esse contenesse libri in italiano, Z. Hojda - J. Kašparová,
“Románská literatura v knihovnách staroměstských měšťanů v 17. století”, Documenta Pragensia 19 (2001), pp. 85-100.
(68) La letteratura sull’argomento è piuttosto ampia, anche se spesso ripetitiva: oltre ai citati Landau e De Bin, si vedano H. Seifert, Die Oper am Wiener
Kaiserhof im 17. Jahrhundert, Tutzig 1985, pp. 195-204; H. Seifert, “Akademien
am Wiener Kaiserhof der Barockzeit”, in W. Frobenius - N. Schwindt-Gross Th. Sick (a cura di), Akademie und Musik. Erscheinungsweisen und Wirkungen
des Akademiegedankes in kultur- und Musikgeschichte: Institutionen, Veranstaltungen, Schriften, Saarbrücken 1993, pp. 215-222; Th. Antonicek, “Musik und
italienische Poesie am Hofe Kaiser Ferdinands III.”, Mitteilungen der Kommission
für Musikforschung, 1990, 42, pp. 1-22. Per un tentativo di interpretazione si vedano poi E. Kanduth, “Italienische Dichtung am Wiener Hof im 17. Jahrhundert”,
Beiträge zur Aufnahme der italienischen und spanischen Literatur in Deutschland
im 16. und 17. Jahrhundert, hrsg. v. A. Martino, Amsterdam 1990, pp. 171-207;
idem, “Das geistlich-weltliche Konzept der italienischen Dichtung am Wiener kaiserlichen Hof im 17. Jahrhundert”, Italienisch-europäische Kulturbeziehungen im
Zeitalter des Barock, Tübingen 1991, pp. 203-219; e, in un italiano illeggibile,
idem, “L’italiano lingua familiare e lingua ufficiale alla Corte imperiale nel Seicento”, in F. Brugnolo - V. Orioles (a cura di), Eteroglossia e plurilinguismo letterario,
1. L’Italiano in Europa - 2. Plurilinguismo e letteratura, Roma 2002, pp. 137-149.
Riprendendo e approfondendo molte fonti d’archivio, si è occupato delle accademie più di recente M. Ritter, “Man sieht der Sternen König glantzen”. Der Kaiserhof im barocken Wien als Zentrum deutsch-italienischer Literaturbestrebungen
(1653 bis 1718) am besonderen Beispiel der Libretto-Dichtung, Wien 1999.
(69) Osservationi Historiche delle cose più notabili occorse in Germania et
alla Corte dell’Imperatore durante la Nuntiatura di Monsignore Arcivescovo di
140
Pisa, Roma, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Pio, 218, ff. 11v-12v. Sulle due
imperatrici Eleonore la letteratura è sorprendentemente scarsa: G.B. Intra, “Le
due Eleonore Gonzaga imperatrici”, Archivio storico lombardo, XVIII (1891), pp.
342-363, 629-657; A. Bues, “Das Testament der Eleonora Gonzaga aus dem
Jahre 1651. Leben und Umfeld einer Kaiserin-Witwe”, Mitteilungen des Instituts
für österreichische Geschichtsforschung, 102, 1994, 316-358. Si vedano però
anche i molti nuovi particolari forniti da K. Keller, Hofdamen. Amtsträgerinnen im
Wiener Hofsaat des 17. Jahrhunderts, Wien-Köln-Weimar 2005. Più documentata è la vicenda di Claudia de’ Medici, dal 1626 arciduchessa del Tirolo: S. Weiss,
Claudia de’ Medici. Eine italienische Prinzessin als Landesfürstin von Tirol (16041648), Innsbruck-Wien 2004.
(70) Osservationi Historiche delle cose più notabili occorse in Germania et
alla Corte dell’Imperatore durante la Nuntiatura di Monsignore Arcivescovo di
Pisa, Roma, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Pio, 218, ff. 86v-87r.
(71) Z. Kalista, Mládí Humprechta Jana Černína z Chudenic. Zrození barokního kavalíra, I-II, Praha 1932, p. 227.
(72) L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa
Medici, VI, Firenze 1781, pp. 283-284.
(73) Lettere inedite di Salvator Rosa a G.B. Ricciardi trascritte e annotate da
A. De Rinaldis, Roma 1939, pp. 119-121
(74) Si vedano A. Nowicka-Jeżowa, Morsztyn e Marino. Un dialogo poetico
dell’Europa barocca, Roma 2001, e l’edizione della traduzione polacca, fino ad
allora manoscritta, dell’Adone: G.B. Marino, Adon (Adone), a cura di L. Marinelli
e K. Mrowcewicz, I-II, Roma-Warszava 1993.
(75) A questo proposito si veda anche J. Kašparová, “K problematice českých překladů italských děl v naší starší literatuře”, Miscellanea oddělení rukopisů
a vzácných tisků SK ČSR, 6, 1990, 1, pp. 79-111.
(76) G.B. Manni, Věčný pekelný žalář, do češtiny převedl Matěj Václav Šteyer,
k vydání připravil M. Valášek, doslov napsala A. Wildová-Tosi, Brno 2002. Si veda
anche A. Wildová Tosi, “Visioni barocche dell’inferno di tre gesuiti in Boemia, Italia
e Spagna”, in S. Graciotti - J. Křesálková (a cura di), Barocco in Italia, Barocco in
Boemia. Uomini, idee e forme d’arte a confronto, Roma 2003, pp. 409-429.
(77) Sulla sua formazione si veda A. Catalano, La Boemia e la riconquista
delle coscienze. Ernst Adalbert von Harrach e la Controriforma in Europa Centrale
(1620-1667), premessa di A. Prosperi, Roma 2005, pp. 31-40.
(78) C. Franciotti, Raiß Zu dem Berg Calvaria. Jn sechs Wochen getheilt Jn
welchen man betrachtet das Leiden und Sterben unseres Herrn und Seeligmachers Jesu Christi, Wien [1650].
(79) Wien, AVA, FA Harrach, Hs. 230, f. 52r.
(80) La Uranie del Montagnate, tradotto dal francese in Tedesco, ma solo per
modo d’un compendio, Wien, AVA, FA Harrach, 170, Biographica, s.d.
(81) La traduzione dell’arcivescovo di Praga, che contiene anche le parti del
testo assenti nelle prime due traduzioni parziali in tedesco (1619 e 1624-1632),
è stata recentemente pubblicata in H. d’Urfé, Die Schäfferinn Astrea, a cura di A.
Noe, I-IV, Berlin 2004.
(82) Wien, AVA, FA Harrach, 178, 1634 Januarius.
(83) A. Catalano, “Die Funktion der italienischen Sprache während des
Episkopats des Erzbischofs Ernst Adalbert von Harrach und die Rolle des Kapuziners Basilius von Aire”, in J. Bahlcke (a cura di), Kirchliche Praxis, Sprache und
nationale Identität. Vom spätmittelalterlichen Böhmen bis zur Ersten Tschechoslowakischen Republik, in stampa.
(84) Wien. AVA, FA Harrach, 169, Haushalt und Hofstaat (-1649), 1634.
(85) Magni a Ludovisi, 1631 VI 7, Roma, Archivio della S. Congregazione
de Propaganda Fide, Scritture Originali riferite nelle Congregazioni Generali,
72, f. 166.
(86) Fondamentale resta a questo proposito J. Cygan, “Das Verhältnis Valerian Magnis zu Galileo Galilei und seinen wissenschaftlichen Ansichten”, Collec-
141
tanea franciscana 38 (1968), pp. 135-166. Nuovi particolari, basati su materiali
contenuti nell’archivio Piccolomini sono offerti anche da Z. Šolle, “Galileo Galilei.
Nový pohled na pověstný proces”, Studia comeniana et historica, 1977, 16, pp.
105-133 [trad. ted. Neue Gesichtspunkte zum Galilei-Prozess (mit neuen Akten
aus böhmischen Archiven), Hrsg. v. G. Hamann, Wien 1980]; idem, “Galileo Galilei und die Länder nördlich der Alpen”, bearb. v. K. Ferrari d’Occhieppo, Hrsg. v.
G. Hamann und H. Grössing, Veröffentlichungen der Kommission für Geschichte
der Mathematik, Naturwissenschaften und Medizin, 1994, 51, pp. 191-227.
(87) Sugli autori citati si veda, anche per una bibliografia aggiornata, A. Catalano, “Italská historiografie mezi machiavelismem a oslavou habsburské monarchie: politická ideologie a moralizující sebereflexe v dílech R. Montecuccoliho, G.
Gualda Priorata a G.B. Comazziho”, Společnost v zemích habsburské monarchie
a její obraz v pramenech (1526-1740), a cura di V. Bůžek - P. Král, Opera historica, 2006, 11, pp. 265-282.
(88) G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana [Classici italiani del secolo
XVIII], Milano 1824, XV, p. 604-605.
(89) G. Mazucchelli, Gli scrittori d’Italia cioè Notizie storiche, e critiche intorno
alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, II/1, Brescia 1758.
(90) Per una bibliografia aggiornata e per un’interpretazione equilibrata dell’“ultimo dei Medici” si veda la recente voce di M.P. Paoli, “Gian Gastone de’
Medici”, Dizionario biografico degli italiani, 54, Roma 2000, pp. 397-407. Le biografie più note sono L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo
della Casa Medici, IV-V, Firenze, 1781; L. Grottanelli, Gli ultimi principi della casa
de’ Medici e la fine del granducato di Toscana, Firenze 1897; H. Acton, Gli ultimi
Medici [1932], Torino 19872, pp. 209-314. Il testo fondamentale resta comunque
G. Pieraccini, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo. Saggio di ricerche sulla trasmissione ereditaria dei caratteri biologici [1947], II, Firenze 19862, pp. 737-772. Per il
mecenatismo culturale dei Medici si veda soprattutto G. Bianchini, Dei Granduchi
di Toscana della Reale Casa de’ Medici protettori delle lettere, e delle Belle Arti,
Ragionamenti istorici, Venezia 1741 (a Gian Gastone sono dedicate le pp. 159178). In ceco A. Skýbová, “Gian Gastone Medici, poslední medicejský velkovévoda, a vydání české gramatiky v Praze” in J. Hlaváček - J. Hrdina - J. Kahuda - E.
Doležalová (a cura di), Facta probant homines. Sborník příspěvků k životnímu
jubileu Prof. Dr. Z. Hledíkové, Praha 1998, s. 431-438.
(91) Firenze, Archivio di Stato, Mediceo del Principato, 5915, 1699 IV 18.
Vedi il contributo di Jan F. Pavlíček “Gian Gastone de’ Medici e la sua corte in
Boemia. Il problema della lunga permanenza all’estero” in questo volume.
(92) Si veda la feroce relazione che dopo una lunga circolazione manoscritta
è stata pubblicata da F. Orlandi e G. Baccini, Vita di Gio. Gastone I, settimo
ed ultimo Granduca della real. casa de’ Medici, con la lista dei provvisionati di
camera dal volgo detti i ruspanti [Bibliotechina grassoccia 2], Firenze 1886. Una
copia manoscritta è conservata anche nella Biblioteca nazionale di Praga, Vita
di Gio. Gastone primo di questo nome e Ottavo Gran Duca di Toscana, come
ventunesimo volume della serie Origine e descendenza della casa de Medici ovvero Discurso e introduzione alle vite de Duchi e Granduchi di Toscana, Praha,
Národní Knihovna, XXIII E 35.
(93) G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, quibus vertens
saeculum gloriatur, I, Florentia 1742, p. 261-283.
(94) La miniatura tratta dal libro dei confratelli è riportata in A. Trezza Cabrales (a cura di), La congregazione italiana di Praga. Luoghi e memorie dell’Istituto
Italiano di Cultura, Praha-Kutná Hora 2003, p. 64.
(95) La dedica della grammatica di Jandit a Gian Gastone si può ora leggere in M. Valášek, “Il grammatico Václav Jandit e Gian Gastone”, in S. Graciotti
- J. Křesálková (a cura di), Barocco in Italia, Barocco in Boemia. Uomini, idee e
forme d’arte a confronto, Roma 2003, pp. 407-408. Il giovane principe sembra
aver partecipato direttamente a diverse iniziative della comunità italiana come
dimostra anche il volume di F. Cassini, Il giubileo nella casa hospitale di S. Marta,
142
overo de’ misericordiosi, ed imitatori della di lei hospitalità celebrato. Sermone I,
nel giorno dell’assuntione della Vergine Santissima, mentre nell’istesso la venerabile congregatione de SS. Italiani, e direttori del famoso hospedale di S. Carlo,
la festività del giubileo, e dell’anno suo secolare, o centesimo, coll’intervenimento
honoratissimo del serenissimo G.G. principe di Toscana solennemente celebrava,
Praga 1701.
(96) L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa
Medici, IV, Firenze 1781, p. 329.
(97) Bacco in Boemia. Ditirambo. Di Piero Domenico Bartoloni da Empoli.
In onore del vino di Melnich, Praga 1717; Bacco in Boemia. Ditirambo di Piero
Domenico Bartoloni da Empoli Accademico Apatista in lode del vino di Melnich.
Seconda edizione dedicata all´altezza reale di Gio. Gastone Primo Gran Duca di
Toscana, Firenze 1736. Molto interessante è la copia della prima edizione conservata nella biblioteca nazionale di Firenze, che contiene molte aggiunte manoscritte, poi inserite nella seconda: Firenze, Biblioteca nazionale, Palat. C.10.5.9.
(98) A. Catalano, “Pietro Domenico Bartoloni da Empoli e le sue Istorie de’
Duchi, e Re di Boemia / Pietro Domenico Bartoloni z Empoli a jeho Dějiny českých
vévodů a králů”, La Nuova rivista italiana di Praga - Nový italský časopis v Praze,
2000/2-2001/1, pp. 92-99; V. Černý, “Eneáš Silvius měl následovníka” [1962], in
idem, V zúženém prostoru, Praha 1994, pp. 31-34; V. Černý, “Rukopisy, psané
románskými jazyky, v pražských knihovnách”, Studie o rukopisech, 1962, pp. 65
-108 (su Bartoloni a p. 88).
(99) La frase è contenuta nel “Proemio” all’opera, P.D. Bartoloni da Empoli,
Istorie de’ Duchi e Re di Boemia, Praha, Národní knihovna, VIII H 38-39, I, f. 5.
(100) “Mezi slavjanskou a vlaskou řečí mnohé jsou styčnosti a svazky jak
co do látky, tak i co do formy, tak však že slavské větším dílem starší a původní,
vlaské mladší a od nás půjčené býti se zdají; poněvadž se, pokud známe, ještě
nikdo o to nezasadil, my, co nám na naší cestě v oči padlo, zde sdělujeme”, J.
Kollár, Cestopis obsahující cestu do Horni Italie a odtud přes Tyrolsko a Bavorsko
se zvláštním ohledem na slavjanské živly roku 1841 konanou a sepsanou od Jana
Kollára [1843], Praha 1862, pp. 248-249.
143
ALESSANDRO CATALANO
Univerzita v Padově
Padova
Italština v novodobých dějinách
středoevropských kultur
Po letech smutného konstatování o stavu studií česko-italských kulturních vztahů a úlohy italštiny jako jazyka kulturního
života ve střední Evropě v novověku1 se v poslední době objevují povzbuzující signály, které svědčí o tom, že budoucí analýzy tohoto velice zajímavého studijního tématu, dosud často
opomíjeného nebo poněkud povrchně zpracovaného, budou
moci konečně do svého záběru pojmout také Čechy, kde byl
fenomén kulturního transferu intenzivnější než kdekoliv jinde2.
Přesto se mi nezdá náhodné, že při prvním nedávném pokusu
vytyčit mapu vlivu románských kultur na východ od Alp byly
Čechy zjevně podceněny3. Několik zajímavých výstav ale přispělo k představení určitých dílčích aspektů bohaté sítě kulturních vztahů, která by si rozhodně zasloužila kulturní projekt
širšího záběru4. O tom, jak velký význam by mohly mít výsledky
(možná i evropského) projektu spočívajícího v podrobné analýze českých knihoven a archivů, svědčí velký úspěch částečně
obdobného počinu, který se uskutečnil v mantovských archivech5. Zbývá tedy vykonat ještě mnoho práce, protože literární
a kulturní historie střední Evropy byla v minulosti zjednodušována a zbavována svého významu ve snaze vyhovět příslušným
národním dějinám literatury, jejichž rekonstrukce obtížně probíhala od konce 18. století.
Po dlouhé přípravné fázi v 16. století, kdy silné migrační
vlny, vyvolané zejména náboženskými válkami, změnily jazykovou mapu Evropy, se v 17. století vykrystalizovala na území
Habsburků velice zajímavá situace jazykové plurality, v níž mohly vedle sebe v různé míře v jednotlivých státech existovat latina, němčina, čeština, maďarština a další „malé“ jazyky. Literární
historie, tak jak je obvykle podávána ve školních učebnicích,
vyškrtla v Čechách z tohoto seznamu překvapivě právě italštinu6. Zatímco úloha latiny v Maďarsku nebo italštiny v Polsku je
víceméně známá, již méně známé jsou složité cesty „kulturní nadvlády“ italštiny v Rakousku a v Čechách7. Pozorným čtenářům
jistě ale neuniklo, že dokumenty, uváděné v posledních letech v
145
poznámkách k nejvýznamnějším historiografickým pracím, byly
často napsány v italštině (korespondence, zprávy, pojednání o
historických událostech). Kdokoliv bádal v archivech šlechticů
17. století, ví, jak je těžké analyzovat život většiny z nich bez
znalostí italštiny8.
Zásadní roli měl vídeňský dvůr, který byl kvůli své specifické jazykové struktuře oprávněně označen jako „polyglot court“9
a popsán jako otevřený prostor, v němž ke konkurenci mezi
dvořany dochází také na poli jazykovém10. Typický je ostatně
úryvek z pokynů, které dostal nuncius Pignatelli kolem poloviny
17. století: „byl to slavné památky zesnulý císař [Ferdinand III.],
jenž se zajímal o italštinu, a uvedl tak na císařský dvůr náš jazyk,
jímž tam téměř nikdo nehovořil, pročež mladí šlechtici jezdili do
Říma jako o závod a tam se ho učili“11. Sám Leopold, který
často používal v korespondenci italštinu, napsal, že „vzhledem
k tomu, že jsme Němci, hodilo by se lépe, abychom psali ve
své mateřštině. Ale protože vám píši jen o komediích a dalších
takto velevýznamných věcech ut scilicet, zvolil jsem italštinu“12.
Crescimbeni na počátku 18. století tvrdil, že “Italové jí dali existenci, ale bylo to na vznešeném rakouském dvoře, kde italština
dosáhla vrcholu své velikosti a slávy”13. Ještě v polovině 18.
století je nemyslitelné stanovit „národnost” na základě jazykového kritéria, i Moser uznává, že „die Sprache des Hofs ist nicht
allemand zugleich die Sprache der Nation” a že „die Hof-Sprachen sind veränderlich, weilen dabey vieles auf die Neigung
eines Herrn in besondere ankomt”14.
Příliv Italů do střední Evropy je jev, který započal během
16. století, zejména za vlády Ferdinanda I. a Rudolfa II. jako
důsledek expanzivní síly renesanční módy15. V druhé polovině
století se různé šlechtické rody, původem většinou z Benátska,
Tridentska a Furlanska, usadily ve střední Evropě a zejména
v Čechách: Byly to rody Arco, Attems, Carretto, Colloredo,
Gonzaga, Magni, Morzin, Nogarola, Porcia, Rabatta, Sforza,
Spinola, Strozzi, Thun, della Torre. Mezi architekty a stavebními
cechy představovali Italové po Češích druhou „národnost“ a
měli jakési výhradní právo na nejlepší zakázky. I mezi obchodníky, zejména těmi, jež měli vazby na dvůr, bylo hodně Italů. Jak
je známo, italská komunita obsadila jednu část Malé Strany a
pohybovala se kolem Vlašské kaple (a kongregace Nanebevzetí
blahoslavené Panny Marie) a kolem špitálu16, což byly instituce
financované většinou z pozůstalosti zbožných osob (například
13. srpna 1656 Ferdinando Antonio Chiesa odkázal celý svůj
majetek italskému špitálu)17.
Na rozdíl od toho, co později tvrdila katolická a jezuitská
propaganda, mnozí z těchto Italů nebyli příliš oblíbeni u katolic146
ké hierarchie, a to do té míry, že ještě v roce 1622 jeden františkán horlil proti jejich „ďábelskému nepořádku“ a žádal Řím, aby
byla ustavena zvláštní inkvizice, která by
napravila tu kupu Italů, jež pobývají v některých městech v Rakousku, a
to ve Vídni, v Čechách, a to v Praze, a ve Štýrsku, a to ve Štýrském Hradci,
a jezdí tam většinou nejen za účelem obchodním či válečným, ale hlavně
proto, aby se již zpovídat nemuseli, nemuseli činit rozdílu mezi dny masnými
a postními, aby sňatky mohli uzavírat, s kým se jim zlíbí, knihy číst podle rozmaru svého, aby volně a plynně jakoukoliv svoji myšlenku vyjadřovat mohli
a mysl veškerého líbezného sevření pramenícího z uctívání Krista zbavili a
aby nakonec žili ve svobodě vědomí tak, že se z nich zakrátko stávají ateisté
a svým špatným příkladem života urážejí poznání katolické pravdy; protože
takto stále konají, stane se časem tento způsob jim vlastním a nikdo již, byť
sebevíce by se snažil, jim toto poznání nebude moci zjevit18.
Už v roce 1592 nuncius Camillo Caetani upozornil svého
nástupce Cesara Speciana:
ať se vůči Italům pobývajícím v této zemi Vaše Jasnost drží zaručeného
pravidla, že představují výjimku a špatný příklad, že jsou většinou nepřáteli
zbožných lidí a duchovních těšících se autoritě. Žádného bratrského
upozornění nebo pomoci od nich nečekejte a nikdy se mýliti nebudete,
budete-li je podezřívat z podvodu, zvědavosti nebo pomluv (jen vždy těm
dobrým cti uchovejte)19.
Toto je možná jeden z důvodů, proč právě Speciano koncem 16. století v Praze aktivně podporoval vydávání náboženských knih v italštině20.
Podněty, jež v první polovině 17. století pravděpodobně příznivě působily na to, co můžeme nazvat šířící se módou italštiny
(jak tomu bylo v předcházejícím století v případě španělštiny
a jak tomu bude v následujícím století s francouzštinou), jsou
velmi různorodé a početné: přízeň panovníků, příslušnost rozsáhlé části dnešní Itálie k Rakousku, příznivá legislativa, stejné
vyznání, nedostatek specializované pracovní síly (jev projevující se zejména v architektuře), rozvoj opravdových obchodních
sítí řízených italskými rody, větší možnosti zaměstnání, zájem o
krásy Itálie a „zábavy“ italského původu, rodinné vazby s italskými rody, které zakotvily ve střední Evropě. Vzhledem k těmto
všem šťastným a nešťastným okolnostem, částečně vyvolaným
také neexistencí sjednoceného státu a tradiční neschopností
Itálie zamezit „úniku mozků“, zůstala některá klíčová povolání po
desítky let v rukou Italů, ať už to byli obchodníci, vojáci, diplomaté, tajemníci, duchovní, architekti, umělci a literáti různého
druhu.21 Abychom se vrátili ke specifickému případu Čech, stačí připomenout, že téměř po celé 17. století byli Italové (Francesco Chiesa, Antonio Binago, Giovanni Antonio Losio) pověřeni
i tak citlivou činností, jakou je výběr daní.
147
Právě příklad polyglota Losia je mimořádně zajímavý pro
pochopení, jaké nepředvídatelné osobní tragédie mohly předcházet emigraci a následnému zbohatnutí v cizí zemi v období
vysokého stupně společenské mobility. V roce 1618 město Piuro v provincii Sondrio bylo zasaženo obrovským sesuvem půdy,
pod nímž zahynulo několik rodin. Mladý Giovanni Antonio Losio
byl přinucen hledat štěstí ve střední Evropě, kde se pravděpodobně usadili někteří jeho příbuzní z matčiny strany. Od roku
1627 je jeho jméno doloženo v Praze, kde v roce 1645 získal
výnosný úřad královského českého inspektora daní z vína, piva
a soli22. Zapojení jeho rodiny do pražského prostředí je potvrzené nejen budoucí slávou na poli hudby, kterou vydobyl jeho
syn téhož jména, ale také tím, že v roce 1648 byl Losio sám
jedním z nejaktivnějších odpůrců Švédů, kteří stále těsněji utahovali obklíčení Prahy: „Losio vytvořil z kupců a dalších přátel
Prahy kumpanii o 150 mužích, jež bojovala při obraně města
pod vlastním praporem a za zvuku vlastního bubnu“23.
Poněkud odlišný je případ rodu Barsotti z Luccy. Byli to
kupci, kteří vytvořili v první polovině 17. století v Evropě hustou
obchodní síť24. Již ve dvacátých letech existují stopy činnosti
Vincenza Barsottiho v Krakově25, Stefana v Norimberku26 a Lelia u císařského dvora27. Z Leliových dětí si Nicolò zvolí dráhu
kapucína (již v roce 1626 je uváděn jako jeden z pomocníků
Valeria Magniho) a stane se ceněným teologem a autorem
několika duchovních děl v italštině a v němčině, jež byla vydána
většinou ve Vídni28. Ještě zajímavější je kariéra jeho bratra, Giovanniho Battisty Barsottiho, jenž se v druhé polovině dvacátých
let stane komorníkem kardinála Arnošta Vojtěcha Harracha a
přestěhuje se do Čech (právě mezi jeho spisy se mimo jiné
dochovala slavná zpráva Ottavia Piccolominiho o Valdštejnově
„zradě“, kterou vydal Jedin)29. V roce 1638 pak získal důležitou
funkci kardinálova zástupce u Svatého stolce a přestěhoval se
do Říma, kde se ještě dodnes zachovaly vzácné dopisy, které
mu Harrach každý týden posílal30. Jeho vazby s rodným městem Luccou a jeho prostřednictví sehrají významnou úlohu v
příjezdu Francesca Sbarry, císařského libretisty a jednoho ze
zakladatelů operní tradice, do střední Evropy31. Po skončení
konkláve v roce 1655 byl obviněn, že osnoval pikle proti volbě
papeže, a byl přinucen stáhnout se do soukromí přinejmenším
do roku 1662, kdy mu Harrach nabídl místo po svém nedávno zesnulém hofmistrovi Giuseppovi Cortim a zároveň místo
světícího biskupa. Barsotti se tehdy vrací do Prahy, kde prožije
poslední dva roky svého života s titulem biskupa, jejž se po
desetiletí marně snažil získat32.
Zmínka o původu rodu Barsotti z Luccy nám umožní poku148
sit se o výklad složitého jevu společenské mobility ve směru do
střední Evropy z pohledu vztahů mezi Svatou říší římskou a italským státním uspořádáním v novověku33. I když období úpadku
císařské autority bylo velmi dlouhé (jde minimálně o období od
korunovace Karla V. italským králem v roce 1530 a střety mezi
Leopoldem I. a Inocencem XII. na konci 17. století), pokusy o
její upevnění spadající do 18. století dokazují, že památka na
feudální vazby velké části severní Itálie s říší zcela nevymizela.
Kromě Toskánska, Milána, Modeny, Mantovy, Massy, Monferrata, Parmy a Piacenzy a měst Janova a Luccy šlo také o
mnohá menší „léna“ většinou v severní Itálii (právě ta, v nichž
se pohybovaly mnohé „příhraniční“ rody: Gonzaga, Carretto,
Malaspina, Pallavicino, Doria, Spinola)34. Italská situace se ještě komplikovala současnou přítomností dvou feudálních politik
(španělské a císařské), které jednotlivým rodům nabízely různé
možnosti kariéry. Na nich významně závisela volba strategie, jež
mohla vést k získání léna. Zcela neprobádaný zůstává způsob,
jakým zasahoval dvůr do různých sporů, ale i mechanismy, díky
nimž ten, kdo mohl doložit svůj původ z císařského léna, se těšil
různým výhodám.
Devatenácté století se zasloužilo o to, že se z této složité
společenské, ekonomické a politické situace stala tabula rasa.
V některých případech se přirozeně nezapomnělo na feudální
vazby, na úlohu jednotlivých Italů a italštiny, ale obecně dochází
k jejímu úplnému vytěsnění. Na rozdíl od architektury nebo hudby je snad nejvýznamnějším příkladem právě jazyk a literatura.
Rozšíření italštiny a italské literatury doplatilo na zuřivé diskuse,
které se rozpoutaly kolem německého a českého bilingvismu
a anachronicky zúžily kosmopolitismus 17. století na boj mezi
dvěma jazyky, který se odehrál v Čechách v 19. století.
Pevná pozice italštiny (a tedy také kariér mnohých Italů) je
ale nepřímo potvrzená silným protiitalským postojem, který se
projevoval po celé 17. století zejména v císařském vojsku35.
Například nuncius Ciriaco Rocci již v roce 1631 psal do Říma,
že Torquato Conti je „pramálo spokojen”, protože „tihle Němci
neradi vidí, že Italové dělají kariéru“36, a o tři roky později, že
„v armádě panuje jakási nejednota mezi národy a Němcům se
nelíbí, že velí Italové a cizinci“37. V roce 1637, kdy nový císař Ferdinand III. provedl hluboké reformy celého dvora, napíše tentokrát znepokojený nuncius Malatesta Baglioni, že „Piccolominiho
synovec se dlouho marně snažil získat titul tajného komorníka a
jen díky strýci padla volba na něj, jinak jsou Italové čím dál tím
více zatlačováni do pozadí“38. Úsudek, který stojí za to porovnat
se slovy z jedné z prvních zpráv o Čechách vydané Italem:
149
vojáci jsou lepší než velitelé, protože někteří velitelé svou slabomyslností
& stálým hýřením & opilstvím nejsou hodni ani schopni velet vojenskému
regimentu... k dosažení úspěchu by velitelem měl být Ital nebo Španěl spíš
než Čech… A takovému cizímu veliteli by byla znalost češtiny nanejvýše
užitečná39.
Velice zajímavou úlohu sehráli Italové v příběhu pádu
Albrechta z Valdštejna. Mezi současníky sice panoval značný
nesouhlas s tím, že to byli právě Italové, do jejichž rukou se
Valdštejn svěřil a kteří ho nakonec „zradili”, Valdštejn sám ale
dlouhodobě choval k italským velitelům hlubokou nedůvěru:
Frýdlantský vévoda má Italy pramálo rád. Hrabě Biglia a markýz Rangone se vzdali velení kvůli nevoli, s níž se setkávali. Zbavil také velení Luigiho
Gonzagu, bratra knížete Bozzola, říká se, že kvůli chybě, jíž se Gonzaga
dopustil. Ottavio Piccolomini je dosti nespokojený a dává se slyšet, že po
skončení tažení chce službu opustit. Hrabě Migna, který je dnes generálovým oblíbencem, nerad vidí, že Italové jsou zbavováni svých úkolů. Kromě
toho vydržet u generála je dost těžké, protože je velice náladový40.
Z Říma odpověděl překvapený Francesco Barberini, že „Italové se vždy účastnili německých válek, a proto nevím, zda je
užitečné vyvolávat v nich nechuť”41. Této kritice nebyl ušetřen
ani bratr císaře Leopold Wilhelm: když Lamberg napsal kardinálu Arnoštu Vojtěchovi Harrachovi, že „arcivévodovi nyní vládnou Italové, což se pramálo líbí stavům v Řeznu”, Harrach mu
příznačně odpověděl, že „Hatzfeld má málo v úctě císařskou
službu, když se tak snadno nechá znechutit, a pokud kvalifikované Němce nemáme, musíme si nutně vypomáhat cizinci“42.
Nepřátelství bylo možné vycítit i v běžném životě: když
například Adam Jiří z Martinic zabil ve svém domě italského
milence své ženy Giovanny (rozené Gonzaga di Castiglione)43,
vypukl jakýsi „hon na Italy”, kteří o věci věděli; ve třicátých letech
studenti pražské univerzity hrozili „rademus barbas italis“44; a
na konci šedesátých let napomíná Leopold I. dobrácky Jana
Humprechta Černína (také ženatého s Italkou) „milý příteli, co
to s vámi je, že jste teď tolik ostražitý a opatrný vůči Italům, jichž
jste svého času velkým ochráncem býval“45.
I dříve již vícekrát právě italský původ zablokoval kariéru
spolupracovníků pražského arcibiskupa Harracha, jak tomu
bylo několikrát v případě jeho hofmistra Giuseppa Cortiho:
svému hofmistrovi jsem slíbil místo světícího biskupa, až bude volné, a aby s tím císař souhlasil, předal prostřednictvím P. Quirogy žádost
císařovně, která ji měla předložit Jeho Veličenstvu, ale dostalo se mu záporné odpovědi, že to nyní nepřichází v úvahu a že Jeho Veličenstvo si přeje,
abych tyto funkce svěřoval zdejším poddaným46.
150
Když už jsou jasné důvody, které v minulosti vedly k podcenění kulturní role Itálie po značnou část 17. století, tedy období,
v němž italština dosáhla své největší expanze jako lingua franca,
může nás nanejvýš překvapit, že se doba největšího rozšíření
italštiny nekryje s obdobím největšího kulturního rozkvětu (renesancí), ale s obdobím úpadku, jenž se v průběhu 17. století
projevoval stále citelněji47. Bylo to způsobeno zejména úspěšně
setrvávající módou italské kultury. I z důvodů rivality Habsburků
a Francie si mohla italština poměrně snadno zajistit místo mezi
jazyky vzdělaných tříd, dvorů, aristokratických salónů, akademií
a dokonce i v soukromé korespondenci. Tiraboschi poznamenal, že „zatímco náš jazyk v některých italských provinciích byl
zanedbáván a špatným stylem poškozován a urážen, dostávalo
se mu někdy až příliš velkého zadostiučinění v úctě prokazované mu cizinci“48. A právě on byl jedním z nejradikálnějších
kritiků předchozího období: „a bohužel musím konstatovat, že
mezi básníky tohoto století je mnoho těch, jejichž básně nemohou sloužit ničemu jinému, než jako potrava ohni nebo červům,
nebo mohou mít ještě nižší poslání“49.
Pokusme se provést sondu do korespondence šlechticů:
Bernard Ignác z Martinic, velký „protivník“ Bohuslava Balbína,
píše téměř všem českým a rakouským šlechticům italsky. Stejně tak činí i arcibiskup kardinál Harrach (jeho korespondence
je ze 70% italsky) a alespoň částečně italsky píšou různí členové rodu Valdštejnů, Nosticů, Lobkoviců a Dietrichsteinů. Některé Italky, které následovaly své muže do střední Evropy, se
ani nemusí učit německy, a přesto se jim daří udržovat obvyklé
společenské styky v italštině (Lavinia Maria Thekla Gonzaga z
Novellary dokázala například obhájit své věno, aniž by uměla
dobře česky nebo německy).
Zajímavý je také počet italských dvorních dam ve Vídni:
z celkového dosud zjištěného počtu 179 jich je 5% italského
původu a necelých 10% tyrolského. Pokud tento vzorek zúžíme
jen na dvorní dámy Eleonory Gonzagy, dostaneme se na 8%,
respektive 16%; mezi dámy patří například jedna nebo hned
několik dívek z rodu Agnelli, Aldegatti, Cavriani, Collalto, Formentini, Ippoliti z Gazolda, Lodron, Nogarola, Valmarana50. A
právě sňatky těchto dam s místními šlechtici dají časem vzniknout jedinečnému fenoménu, kterým je mezinárodní rakouskouherská šlechta, jež se tak proslaví v 19. století. Vyskytují se
pochopitelně i případy českých žen, které se přestěhovaly za
svými manžely do Itálie. Mimořádně zajímavý je například příběh
dvou sester, Bibiany a Františky z Pernštejna, provdaných za
Andreu Mattea Acquavivu Aragonského a Francesca Gonzagu
z Castiglione. Se jménem druhé ženy není spjatá jen výstavba
151
Pernesty v Casertě (jež je kopií letohrádku Casino pernestano z
Castiglione delle Stiviere), ale také skandál s manželovou nevěrou, jíž se dopustil s neteří Martou Polyxenou z Fürstenberka,
rovněž Češkou51.
Jak o tom svědčí také další četné sňatky, územní původ
manželů si zachovává po celé 17. století velký význam. Italské
rodiny, které získaly své pozemky v bouřlivých letech po bitvě
na Bílé Hoře, udržují většinou těsné styky se svými italskými
příbuznými, i když se většinou rychle integrují do střední Evropy. A tak někteří, například Rambaldo Collalto, Mathias Gallas, Ottavio Piccolomini, Rodolfo Colloredo, Francesco Magni,
Francesco Antonio Carretto di Millesimo, pokud uvedeme jen
některá jména, napomáhají šíření italské módy ve střední Evropě52. A že nešlo pouze o jev charakteristický pro výbušné období třicetileté války, dokazuje kniha bratrstva italské kongregace
v Praze, která v letech 1636 až 1788 uvádí 845 jmen nových
členů53.
Ne náhodou se v díle, oslavujícím typickou rétorikou 18.
století velké italské vojevůdce, hovoří s obzvláštní hrdostí o
podílu těchto Italů na stavební a kulturní činnosti v cizině:
Jako každý jiný národ i Italové jsou rádi slavní; a pro vydobytí slávy
pevnější, trvalejší a závistí méně poznamenané považují za nejlepší použít
obecné i soukromé bohatství k velkoleposti veřejných a soukromých budov,
svatých i světských, k výzdobě měst, objevování nových vynálezů na poli
vědy nebo svobodných umění, k povznesení řemeslnických dílen a obchodu
spíše než k vojenským účelům a válečným opevněním; tam se totiž často
stává, že první triumfy, i když jsou zdařilé, jsou pro vítěze nesmírně nákladné
a končívají jako neblahé, smutné a ostudné tragédie54.
Někteří Italové začali svou válečnou kariéru zdola jako řadoví vojáci (Ottavio Piccolomini nebo Innocenzo Conti), jindy byl
vstup do císařských vojsk výsledkem přesného ekonomického propočtu (to byl pravděpodobně případ Mathiase Gallase).
Investice rodinného jmění do vojska byla přirozeně riskantní,
ale – představme si jen to nesmírné jmění, které nashromáždil
Albrecht z Valdštejna – v některých případech se ukázala jako
šťastná. Často k volbě vojenské dráhy vedou přirozeně osobní důvody55, ale významným faktem je rozhodně to, že v roce
1633 dobrých 18 ze 109 regimentů císařského vojska bylo
„italských” (některé ale pocházely z území patřících Habsburkům)56. Hluboce mylná je každopádně představa, že šlo vždy
a pouze o mladé chudé kadety ze známých rodů57: Rambaldo Collalto se například zřekl celého svého majetku v Itálii ve
prospěch sourozenců, Torquato Conti kněžské kariéry, zatímco
další pocházeli z rodů, které se již ve střední Evropě úspěšně
152
usadily, jako Francesco Magni nebo Rodolfo Colloredo (tomu
například Rudolf I. udělil tučnou prebendu již při narození).
V Čechách najdeme mezi patnácti šlechtici, kteří patřili v
roce 1655 k největším majitelům pozemků, také tři Italy s vojenskou minulostí (Gallas, Piccolomini a Colloredo)58, bez jejichž
ohromných investic by místopis Prahy vypadal podstatně jinak.
Stačí například připomenout velký palác s krásnou barokní
zahradou (dnes sídlo amerického velvyslanectví) již zmíněného
Rudolfa Colloreda, jedné z málo probádaných postav 17. století. Jeho činnost kulturního propagátora je dobře zachycená
v průběhu let v denících kardinála Harracha. V roce 1657 ho
dokonce Harrach označí za hlavního strůjce oslav ve městě:
„ve Vídni se připravují akademie, komedie, balety a oslavy karnevalu, my ho zde strávíme dosti chudě, neb nám chybí hlavní
organizátor oslav, hrabě Colloredo, jenž byl na pravé straně
zasažen mrtvicí a nebude se moci z této nepříjemnosti tak brzy
zotavit“.59 Z uvedeného vyplývá, že zneužívaný obraz kořistníků
proniknuvších na českou půdu je zcela anachronický a měl by
být jednou provždy zapomenut60.
Přítomnost velkého počtu šlechticů s sebou nese pochopitelně přítomnost početného italského „personálu“ (tajemníků,
opisovačů, správců, společnic), který musí mít nějaké jazykové
znalosti a musí sledovat dění na italském poloostrově. I z tohoto důvodu stoupá počet letáků a ručně psaných novin přicházejících z Itálie (z Říma, Milána, Boloni a zejména z Benátek)
a i v Čechách existují sbírky, které nemají co závidět slavným
Fugger Zeitungen. Četné jsou i listovní kontakty, využívající
obchodních cest, jež často vytvořili Italové (korespondence
ostatně prožívá v 17. století svůj zlatý věk). Kvůli své ceně jsou
ručně psané noviny dostupné pouze rodinám patřícím k vyšší
šlechtě (Šlikům, Nosticům, Slavatům, Harrachům, Martinicům,
Lobkovicům, Dietrichsteinům, Schwarzenbergům) – zatímco
vrstvy na nižším společenském žebříčku si většinou „předplácely“ lacinější německé noviny – ale je jasné, že přečtené zprávy
pak byly diskusním tématem v salónech a kolovaly v nesmírně širokém společenském prostředí. Sám Harrach je autorem
velice obsáhlého korpusu ručně psaných „novin“ v italštině (a v
menším počtu i v němčině), které pokrývají léta 1630 až 1667
a představují jedinečný historický pramen pro znalost historie
Čech tohoto období61. Stojí za zmínku, že dlouhá tradice zpráv
a novin, které kolovaly jako rukopisy v rodinném a soukromém
prostředí, povede později ve Vídni ke vzniku opravdových italských novin Il coriere ordinario.
Pro rozšíření náboženských kultů a oslav italského původu
byl další důležitou hnací silou náboženský faktor: jak zdůraznil
153
Evans, „protireformace se nikdy nemohla zbavit určité italské
dimenze”62. Ochrana a podpora Habsburků, mravenčí práce
duchovních řádů ve společnosti a víra šlechty jsou hlavními
faktory citelného „poitalštění” mentality vedoucí k hluboké proměně českého prostředí, které se v 17. století zaplní kostely,
kaplemi, kalváriemi, svatými horami, napodobeninami Loreta
a nakonec vyústí ve velice rozšířený lidový kult svatého Jana
Nepomuckého, s nímž se ještě dnes můžeme setkat na venkově v celé střední Evropě63.
Analyzovat italský vliv na literaturu je ze zřejmých důvodů
obtížnější: ať už chceme vyslovit jakýkoliv úsudek o italské literatuře tohoto období, faktem zůstává, že v průběhu nepřetržitých
válek trávili aristokraté hodně volného času čtením a inscenováním bukolických a pastýřských textů, často italského původu (četné jsou ale i inscenace vycházející z tradice commedie
dell’arte)64. Například v roce 1632, uprostřed válečného stavu,
si kardinál Harrach se svými příbuznými a přáteli zpříjemňovali čekání na českém venkově četbou díla Il pastor fido (Věrný
pastýř)65. Knihy nalezené po smrti Otty Friedricha, již zmíněného
kardinálova bratra (profesí vojáka), jsou skoro všechny v italštině a nechybí mezi nimi pochopitelně Marinovy Adonis a La
lira, Tassoniho La secchia rapita a Tassovy Rime66. Není náhodou, že všechny texty jsou v původní jazykové verzi, v mnohých
šlechtických knihovnách má totiž oddíl italských knih často nejvíce svazků67.
O vkusu tohoto období výmluvně hovoří také básně z pera
hlavních osobností vídeňského dvora: italské verše píšou císaři, císařovny i arcivévodové. Masové veršování je součástí
širšího jevu, kterým je pěstování dvorské kultury, a jeho nejtypičtějším projevem bývají literární akademie, oblíbená forma
zábavy intelektuálů v celé Evropě. Nejvýznamnějším výsledkem tohoto období jsou dva svazky Poesie diverse composte
in hore rubate d’academico occupato (Ferdinand III.) a Diporti
dell’accademico crescente (Leopold Wilhelm). Ve Švédsku se
pak zachovaly mnohé další rukopisy, které odvezli Švédové v
roce 1648 a jež jsou literárním historikům prakticky neznámé, i
když svědčí o intenzitě literární produkce, která nakonec vyústila v opravdovou akademii68. Nuncius d’Elci napíše například o
Eleonoře, že:
má mnohostranné nadání a je tak duchaplná, že se nejen dokázala
obdivuhodně přizpůsobit zvyklostem Německa a naučit se výborně jeho
jazyku, ale dokonce se velmi přiblížila duchu samotného císaře… Rovněž
pěstuje hudbu a rovněž skládá69.
154
Ještě významnější úlohu má v tomto ohledu Leopold Wilhelm, vůdčí postava vídeňské akademie:
Byl přívržencem Martovým i ctitelem Minervy, nosil zároveň tógu i zbroj,
příkladně dokázal, že je vhodný pro hodnost vladaře, že vládne stejně dobře
duchem jako i zbraněmi; když tedy odložil zbraně, aby se věnoval rozvoji
své vzdělanosti, jíž se zcela vyrovnal svému bratru císaři, a přál si, aby ve
Vídni byla zřízena pod záštitou samotného císaře italská akademie; poté,
co pověřil generála Montecuccoliho, aby přednesl tyto myšlenky italským
šlechticům, o nichž se soudilo, že se v literatuře vyznají, nařídil, aby se dostavili do jeho komnat, jak se i dne 28. prosince stalo, a poté, co jim stručně
vylíčil své přání, těšící se velké náklonnosti samotného císaře i císařovny,
založit akademii krásných umění v jazyce italském, je vyzval, aby se každý
vyjádřil ke způsobu konání těchto akademií podle toho, co bývá obvyklé pro
dobře vedené akademie v Itálii, z čehož nakonec vyplynulo, že vše je dosud
pouze v začátcích a není tedy možné získat uznání úředníků nebo ministrů,
tak jak se to jinde pro akademie dělává, a že by bylo dobré začít tím, že toto
téma bude nastoleno a že různé strany budou mít možnost krátce svůj názor vyjádřit, a všichni že jsou nabádáni, aby přispěli svou básnickou činností,
jak je každému po chuti. Deset pánů pak arcivévoda pověřil, aby akademii
vytvořili, a k nim se, vzhledem k úctě, jíž se tato činnost těšila, připojili další
němečtí šlechtici a komorníci císaře, aby akademie nabyla většího rozsahu
a díla básnická byla prokládána hrou na hudební nástroje. 70
Akademie 17. století nejsou pochopitelně ceněny z pohledu originality zvolených témat, ale jako projev společenské
dimenze dvorské kultury v kulturním jazyce té doby, v italštině.
V Čechách byl autorem literárních textů v italštině již zmíněný
hrabě Černín, kromě jiného autor Rime rozze uscite di penna ignorante di H.C. in consideratione della caducità di nostra
vita71. Většina této eklektické poezie klade důraz na neočekávané, překvapivé, tedy efemérní prvky, a místo aby čtenáře ohromila, má ten zvláštní účinek, že „údiv“ přechází v monotónnost,
pokud ne přímo v nudu, která z našeho pohledu postihuje většinu poezie 17. století.
Je naprosto zřejmé, že velká známost neznamená literární
kvalitu: italští básníci, opravdoví nebo i ti takzvaní, kteří cestovali
v 17. století po celé Evropě, často unikali ekonomicky i intelektuálně poněkud povážlivé situaci a následovali slavný Marinův
příklad, který se vydal hledat štěstí k francouzskému dvoru.
Podle florentského historika Galluzziho, ve Vídni „o každého
Itala, který se jen trochu vyznal v poezii a literatuře své vlasti,
velice stála místní knížata a s radostí ho zvala do svého domu,
aby se účastnil jejich domácí konverzace“72. Pochopitelně to
neměli zapotřebí všichni italští literáti a Salvator Rosa, poněkud
excentrický básník a malíř, odbyl v roce 1661 Innsbruck, jedno
z hlavních center italské hudby, těmito slovy: „[říká se] že se
chystám na cestu do Isprucchu. Tohle je, milý Ricciardi, vůle
155
a přání Cestiho, ne rozhodnutí Salvatora, který si cení celého
Spucchu jako vy si ceníte chlupů na svých koulích“73.
Není tedy náhodou, že ti, kdož se honosili prestižním titulem dvorního básníka, upadli dnes v již v zapomnění a četba
jejich básní dochovaných v hojném počtu v četných archivech
významných šlechtických rodin přispívá k posílení názoru, že v
17. století, zejména v těchto okrajových, ale velice viditelných
literárních žánrech tvůrčí síla italské literatury stále více slábne
a její reálný kulturní vliv se čím dál tím více dostává na okraj (na
rozdíl od výtvarného umění, divadla a hudby, v nichž si italská
kultura zachovala velmi dlouho významnou kvalitativní hodnotu). Vrcholem namyšleného a často nudného veršování, které
ovládlo celé století, je pochopitelně příležitostná poezie, nejčastější literární žánr vyskytující se všude tam, kde byl nějaký dvůr a
někdo ochotný něco utratit za pár veršíků.
V české literární kritice je tento problém daleko složitější, protože odmítnutí kultury aristokracie je natolik hluboké (a
natolik spojené s otázkou jazyka a s národní a náboženskou
identitou), že raději byla úplně odmítnuta literární kosmopolitní a
polyglotní tradice této kultury, než aby se připustilo, že v češtině
nedala vzniknout vlastně ničemu. Proto byl literární rámec zúžen
na několik málo českých textů, které vznikly téměř výhradně
mimo aristokratické prostředí. Několikrát, a to i nedávno, svitla naděje, že se tento problém vyřeší dalším bádáním v archivech a hledáním neznámých rukopisů. I kdyby se však objevil
i kompletní rukopis překladu Adonise, podle mého názoru by
takový nález měl vzhledem ke své ojedinělosti malý význam a
byl by vykládán jako individuální literární počin, vzdálený široce
pojaté a cílevědomé překladatelské činnosti polské šlechty74. K
pochopení šíře problému je možná užitečné pokusit se alespoň
na chvíli si představit, co by zůstalo z barokní architektury a
hudby bez podpory šlechtických mecenášů, abychom si uvědomili, do jaké schizofrenie dospěla ta literární historie, která
se snažila rekonstruovat český kulturní život v období baroka
pouze na základě textů psaných česky.
Není možné si myslet, že česká literatura nepodléhala silnému vlivu italské literatury: může se naopak tvrdit, že překlad
italských textů byl zásadní pro asimilaci symbolické soustavy
protireformace75. Kromě děl, jež vydávali (často latinsky) všichni
ti italští duchovní, které protireformace přivedla z Itálie do zemí
pod vládou Habsburků, byly velice důležité překlady z italštiny. Není pravda, že se v 17. století nepřekládá z italštiny do
češtiny (a častěji do němčiny), spíše jde o to si uvědomit, co
a proč se překládá. Nedávno byl znovu vydán vynikající český
překlad díla G. B. Manniho Věčný pekelný žalář, jenž je nejza156
jímavějším výsledkem procesu převzetí katolického kulturního
kodexu, který byl dlouhou dobu střední Evropě cizí76. Tak jak je
tomu i v dalších oblastech Evropy, překládají se v této době většinou pedagogicko-náboženské texty, jež jsou dílem italských
duchovních.
Překládá také například hrabě Harrach a na to, že je kardinálem, překládá dokonce hodně77. Na žádost vzdělaných
manželek vídeňských aristokratů překládá do němčiny velice
různorodou škálu textů: od klasiky tehdejší duchovní literatury,
Viaggio al monte Calvario Cesara Franciottiho78, až po úspěšný
a ve své době skandální pastýřský příběh Filli di Sciro harběte
Guidobalda Bonarelliho79, od slavného díla Inganno d’amore
Benedetta Ferrariho po Montagatheho Uranii80, až po takového
autora, jakým byl Honoré d’Urfé a jeho Astrée, jeden z bestsellerů a symbolů evropské šlechtické kultury 17. století81. Tak se
tedy nově vytváří duchovní svět katolického dvořana v Evropě a získává novou dimenzi, v níž vedle sebe bez problémů
existuje duchovní a povznášející literatura a výsostný dvorský
román. Harrachova korespondence je kromě jiného svědectvím o intenzivním knižním obchodu s celou Evropou a dokonce
o velice zajímavých kontaktech s „rakouskými“ protestantskými
autory (v jeho knihovně nechybí ani Macchiavelliho díla).
A tak se nabízí jednoduché vysvětlení nejen toho, že neexistuje český překlad Dvořana, ale také proč zcela chybí překlady
naučné literatury, jednoho z nejúspěšnějších žánrů 17. století.
Nejde o to, že by střední Evropa neznala strategii, opatrnost
a kalkul a další tematiku těchto děl, ale je tomu tak jednoduše proto, že šlechta necítila potřebu převádět je do češtiny.
Jinak tomu bylo z různých důvodů s němčinou, pro niž byla
tato potřeba živá (i když byla většinou pociťována daleko od
hranic s Habsburky) a stala se ještě naléhavější v průběhu 18.
století. I když je objektivně obtížnější ocenit rozšířenost textu v
původním jazyce než spočítat jeho překlady, nemůžeme v žádném případě podcenit známost a úspěch Adonise a Věrného
pastýře ve střední Evropě pouze proto, že vzhledem k historicko-lingvistickým podmínkám tehdejší doby nebyl jejich překlad
do češtiny nutný.
Pokud zůstaneme v Čechách, můžeme uvést již zmíněný
převod Francesca Sbarry, o nějž se zasloužil kardinál Harrach
(na zcela nové zhodnocení ještě čeká jeho velký zájem o divadlo, který byl podnětem pro uvedení mnoha původních divadelních představení), nebo jeho spolupráci s Valerianem Magnim
a Juanem Caramuelem y Lobkowitz (pozdějším italským biskupem), dvěma neklidnými duchy 17. století. Ale mohli bychom
uvést jména mnohých dalších méně známých intelektuálů, kte157
rá jsou jen dalším svědectvím, že Harrach, který se ztotožnil s
post-tridentským modelem biskupa, jehož ideálním ztělesněním
byl Karel Boromejský, představoval nejméně padesát let jeden
z hlavních pólů šíření italské kultury do Čech a skutečné propojení italského, vídeňského a pražského kulturního života. V
roce 1634 byla vysoká místa v kardinálově služebnictvu téměř
výhradně obsazena Italy: hofmistr (Giuseppe Corti), komorník
(Giovanni Battista Barsotti), podkoní (Girolamo Giugni), hofmistr (Flaminio Vignola), kapelník a ceremoniář (Vincenzo Leporio),
italský tajemník (Flaminio Rossi), vídeňský zmocněnec (Cesare
Vezzi), další šlechtic ve funkci tajemníka (Carlo Fornarini) a další šlechtic, „poloviční Švýcar“ (Giovanni Baur)82. I později jeho
nejbližší spolupracovníci budou většinou Italové: Florio Cremona, Francesco Visentainer, Antonio Talenti, Antonio Ludovico
Malfatti, Pietro Panicali. Zcela poitalštění byli také další cizinci,
které Harrach získal do svých služeb během pobytů v Římě
(k těm patří Gerard de Schlessin, Petrus Davans, Egidius
Rubin), a kardinál také často i se svými „krajany“ vedl korespondenci v italštině (s Janem Ctiborem Kotvou a Kašparem
Karasem). Je to další důkaz velice častého používání italštiny
jako dorozumívacího jazyka nejen se služebnictvem, ale také
v komunikaci s celou diecézí83. Z makarónského pokusu hofmistra Cortiho o německý dopis vyplývá, že tito šlechtici měli
jen velmi přibližnou znalost nejen češtiny, ale i němčiny84. Jak
ostatně na počátku protireformace napsal Valeriano Magni, „ti
nejlepší poddaní budou muset být cizinci“, protože skoro „vše
dobré kolem vlády duchovenstva se musí v Čechách udělat
nově“, i když „nenáviděné“ reformy vyvolávají velký odpor, a
„zdejší“, kteří mají blízko k arcibiskupovi, jsou považováni za
„rebely a nepřátele vlasti“85.
A tak bychom mohli pokračovat ještě dále: polemické dílo
samotného Magniho a tedy vznik nejezuitského filozofického
myšlení se nedá pochopit bez znalosti napětí, které stále panovalo mezi Harrachem a jezuity, a bez znalosti ostrých pražských
polemik milánského kapucína (a bez znalosti úspěchu, jejž
vzbudilo kapucínské kázání, by nebyla pochopitelná ani předcházející činnost Lorenza z Brindisi a následné konání Marca z
Aviana). Pro pochopení šíře vazeb mezi Itálií a střední Evropou
není rozhodně druhotný zájem, s jakým zvědavý kapucín sledoval celý příběh Galilea Galileiho a jenž vedl Pieroniho k opakovaným pokusům uveřejnit nejdříve na Moravě a potom v Čechách
Dialoghi delle nuove scienze86.
Byly to tedy nejen dvory italských panovnic a arcivévodkyň,
které se staly hospodářskými, politickými, ale i kulturními centry s vazbou na Itálii, ale byly to také všechny „italské” rodiny,
158
které se natrvalo usadily ve střední Evropě. K jejich významným představitelům patří Raimondo Montecuccoli nejen díky
své literární tvorbě, které by jistě zasluhovala větší pozornost,
ale zejména díky svým úvahám o válčení a vojsku, které představovaly skutečnou revoluci v pojetí válečné tématiky. Kromě
velkého počtu příležitostných básní a různých textů, určených
pro čtení na akademiích, zanechal Montecuccoli monumentální
rukopis Zibaldone, opravdovou studnici citací (zejména z Campanelly). Dílo pak bylo opakovaně využívané v jeho nejslavnějších textech.
Abychom se vrátili na pole, které má blíž k literatuře, stačí
uvést jeden z nejúspěšnějších žánrů období baroka, politické
dějiny, jichž si Croce cenil natolik, že o nich pojednává jedna z
nejdůležitějších kapitol jeho Dějin baroka v Itálii a které by téměř
neexistovaly bez přispění dvorních historiografů, jimiž byli Vittorio Siri, Galeazzo Gualdo Priorato a Giovanni Battista Comazzi,
ani bez přispění tak všestranné osobnosti, jakou byl již zmíněný
Gregorio Leti87. Velký úspěch italských historiků v cizině byl pak
trnem v oku pozdější generaci, jak o tom svědčí Tiraboschiho
slova: „musíme přiznat, že nejslavnější historikové, jež vzešli v
tomto století z Itálie, spíše než příběhy své vlasti zachytili pro
budoucí věky dějiny cizí, snad proto, že se jim zdálo, že cizí
příběhy poskytují slavnější historická témata“88.
Jde o dlouhou tradici historiografie psané v italštině, jež
využívala větší svobody slova, než měla současná historiografie
německá. Téma Čech pak bylo završeno monumentálním rukopisným dílem lékaře Bartoloniho z Empoli89, jenž přišel do Čech
jako člen dvora Gian Gastona Medicejského. Ostatně právě
„poslední z rodu Medici“90, nucený žít v české provincii z majetku arogantní manželky, jež se domnívala, že „kvůli tomu kousku
země, co jí v Čechách patří, je největší panovnicí na světě“91,
představuje další postavu, které dějiny věnují jen malou pozornost a stále v něm vidí posledního zvrhlého představitele upadající dynastie92. Zatím to byl ale právě Gian Gastone, který se
po svém návratu do Florencie projevil jako důstojný pokračovatel známého medicejského kulturního mecenášství, jenž přivezl
do Čech část onoho živého kulturního života zastoupeného florentskými akademiemi konce století93. A není náhodou, že právě jemu, jehož nacházíme mezi dobrodinci italské kongregace v
Praze94, je věnovaná jedna z prvních gramatik českého jazyka95.
V každém případě námaha, již vynaložil syn jednoho z nejuctívanějších evropských panovníků, aby získal inkolát v zemi, do níž
se hodlal přestěhovat, a následná válka mezi dvořany, kdy se
„velmi rychle rozhořel duch stranickosti mezi Florenťany Gian
Gastona a kněžninými Čechy“96, jsou velice jasnými signály jevů
159
provázejících „vytváření národa“, které na počátku 18. století
procházely celou Evropou.
Z úvah lékaře Bartoloniho, autora nejen pozoruhodného
oslavného hymnu na české víno97, ale také monumentálního (a
nikdy nevydaného) díla Istorie de’ Duchi e Re di Boemia98, na
několika místech vyplývá, jaké překvapení zažíval italský akademický intelektuál tváří v tvář historické tradici, která se značně
lišila od toho, co měl dosud možnost poznat:
zamýšlím se čistě věnovat práci historika, zaznamenám alespoň to, co
se mi jeví být dosti jistým. Nežádám ale, aby se myslelo, že právě moje budou ta nejjistější tvrzení o věcech, které jsou různě podávány i zdejšími lidmi,
jež žili v době blízké oněm událostem. Pokud se mé vyprávění bude namnoze lišit od vyprávění jiných, žádám pouze, ať je to přisuzováno tomu, že chci
podat zprávu podle důkazů a nejlepších úvah, a ne tomu, že odmítám tvrzení lidí hodných úcty, kteří měli pádnější důvody tvrdit něco jiného než já99.
Máme důvod se domnívat, že právě tyto „pádnější důvody“ vedly v následujícím století k systematickému vymazávání
podstatných stop, které zanechaly italská menšina a italština
ve střední Evropě. Kulturní dějiny dlouhého období baroka
byly natolik přepsány, že slavný český básník Jan Kollár mohl
vypracovat svou slavnou (a jen zdánlivě šílenou) teorii, že Italové
pocházejí ze Slovanů. Z tohoto pohledu i italské lexikální výpůjčky slov dobře známé všem, kdo měli v rukou nějaký novověký
rukopis, mají v jeho výkladu zcela jiný původ:
„Mezi slavjanskou a vlaskou řečí mnohé jsou styčnosti a svazky jak
co do látky, tak i co do formy, tak však že slavské větším dílem starší a
původní, vlaské mladší a od nás půjčené býti se zdají; poněvadž se, pokud
známe, ještě nikdo o to nezasadil, my, co nám na naší cestě v oči padlo,
zde sdělujeme“100.
I když Kollárův seznam hypotetických jazykových vlivů je
dalek toho, aby přesvědčil dnešního čtenáře, poukazuje zcela
zřejmě na přístup, jaký intelektuálové 19. století měli ke dvěma
stoletím, jež předcházela jejich době.
160
Poznámky
(1) Jediným souhrnným dílem o tom, jak italské prostředí vnímalo Čechy,
byla dlouho práce A. Cronia, Čechy v dějinách italské kultury (tisíciletá žeň),
Česká akademie věd a umění, Praha 1936. Průkopnický a ještě dnes významný
je zajímavý svazek, který připravil k vydání Z. Hojda, Itálie, Čechy a střední Evropa,
Universita Karlova, Praha 1986. K tématu přítomnosti italské literatury ve střední
Evropě, i když byla ve skutečnosti omezená pouze na vídeňský dvůr, je zásadní
dílo U. De Bin, Leopoldo I imperatore e la sua corte nella letteratura italiana,
Caprin, Trieste 1910. Předchozí dílo, M. Landau, Die italienische Literatur am
österreichischen Hofe, Gerold, Wien 1879, se dnes jeví jako hodně zastaralé.
Teprve nedávno vyšla zajímavá Kalistova práce z šedesátých let, Z. Kalista, Itálie a
česká barokní literatura / L’Italia e la letteratura del barocco ceco, ed. Alessandro
Catalano - Martin Valášek, eSamizdat 3 (2/2004), s. 211-233; http:// www.esamizdat.it/archivi/catalano1.htm. Popularizační je kniha G. Cengiarotti, Considerazioni
introduttive intorno ai caratteri della presenza italiana in Boemia (sec. XVI-XVIII).
Lineamenti storici, Lalli, Poggibonsi 1987. Pokud jde o italské umělce v Praze,
zůstává nenahraditelný P. Preiss, Italští umělci v Praze, Panorama, Praha 1986.
(2) S. Graciotti - J. Křesálková (vyd.), Barocco in Italia, Barocco in Boemia.
Uomini, idee e forme d’arte a confronto, Il calamo, Roma 2003; existuje také
český překlad: V. Herold - J. Pánek (vyd.), Baroko v Itálii - baroko v Čechách.
Setkávání osobností, idejí a uměleckých forem, Praha 2003; A. Catalano (vyd.),
„O misera Boemia...“, Souvislosti 13, 3-4/2002, s. 5-164.
(3) G. Platania (vyd.), La cultura latina, italiana, francese nell’Europa centroorientale, Sette città, Viterbo 2004. K tématu vztahů střední Evropy a Říma viz
nedávno vydané dílo M. Sanfilippo - A. Koller - G. Pizzorusso (vyd.), Gli archivi
della Santa Sede e il mondo asburgico nella prima età moderna, Sette città,
Viterbo 2004.
(4) A. Pazderová - L. Bonelli Conenna (vyd.), Siena v Praze. Dějiny, umění,
společnost..., Národní galerie, Praha 2000; Z. Hojda - J, Kašparová (vyd.),
Bohemia-Italia. Češi ve Vlaších a Vlaši v Praze, Národní knihovna, Praha 2000;
Opus italicum. Architetti italiani rinascimentali e barocchi a Praga, Správa
Pražského hradu, Praha 2001. Důležitá je také nedávná publikace A. Trezza
Cabrales (vyd.), La congregazione italiana di Praga. Luoghi e memorie dell’Istituto
Italiano di Cultura, Tichá Byzanc, Praha-Kutná Hora 2003.
(5) U. Artioli - C. Grazioli (vyd.), I Gonzaga e l’Impero. Itinerari dello
spettacolo. Con una selezione di materiali dall’Archivio informatico Herla (15601630), Le Lettere, Firenze 2005. Ideově navazuje na cenné svazky S. Ferrone
(vyd.), Comici dell’Arte. Corrispondenze, I-II, nakl., Firenze 1993, a E. Venturini
(vyd.), Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra la Corte Cesarea e Mantova (15591636), Silvana, Cinisello Balsamo 2002; vynikajícím způsobem rekonstruuje cesty
kulturního transferu mezi Mantovou a střední Evropou článek O. G. Schindlera
„Viaggi teatrali tra l’Inquisizione e il Sacco. Comici dell’arte di Mantova alle corti
degli Asburgo d’Austria“, tamtéž, s. 107-160. Tato práce bude ještě dlouho
představovat klasický odkaz pro každého italského badatele, který se bude chtít
zabývat rozšířením commedie dell’arte na německých jazykových územích na
sever od Alp.
(6) Různé zajímavé náměty pro budoucí bádání jsou obsaženy v následujících
článcích: J. Polišenský, „Rassegna delle fonti per la storia e la cultura italiana in
Cecoslovacchia“, Historica 14 (1967), s. 271-278; Týž, „Le relazioni tra la Boemia
e l’Italia al tempo di Giordano Bruno e Galileo Galilei“, Philologica pragensia.
Časopis pro moderní filologii 63 (1981), č. 24, s. 6-12; Z. Hojda, „Zastavení nad
novým soupisem italik od Jaroslavy Kašparové a nad literaturou k česko-italským
vztahům vůbec“, Folia historica bohemica 15 (1991), s. 481-497.
(7) K pozdějšímu období viz úvodní poznámky v krátkých příspěvcích
C. Grassiho, W. Forsthofera a R. Weilgunyho v „Premesse per uno studio
161
dell’italiano come lingua nazionale sotto la monarchia astrungarica“, in L. Coveri
(vyd.), L’italiano allo specchio. Aspetti dell’italianismo recente. Saggi di linguistica
italiana, Rosenberg & Sellier, Torino 1991, s. 155-180.
(8) Ukazuje se, jak důležité mohou být italské dobové prameny dokonce i v
případě takových osobností, jako je Bernhard Ignaz von Martinitz, a regionálního
kontextu kolem Slaného, viz A. Catalano, „Příběh jednoho mýtu: Bernard Ignác
z Martinic - kardinál Arnošt Vojtěch z Harrachu - jezuité“, in V. Přibyl, Slánské
rozhovory 2005, Královské město Slaný, Slaný 2006, s. 25-34.
(9) J. P. Spielman, The City and the Crown. Vienna and the Imperial Court
1600-1740, Purdue University press, West Lafayette 1993, s. 202.
(10) W. M. Wuzella, „Untersuchungen zu Mehrsprachigkeit und
Sprachgebrauch am Wiener Kaiserhof zwischen 1658 und 1780“, in V. Bůžek
- P. Král (vyd.), Šlechta v habsburské monarchii a císařský dvůr (1526-1740),
Historický ústav Jihočeské univerzity, České Budějovice 2003, s. 415-438.
(11) [G. Leti], Segreti di Stato dei Principi d’Europa rivelati da varii
confessori a beneficio comune di tutti quelli che maneggiano affari pubblici e
per soddisfazione dei più curiosi, Bologna 1671-1676, II, s. 51. Důležitým pro
asimilaci italské kulutry bylo pochopitelně evropské Länderreis mladých šlechticů,
kteří obvykle bývali v Itálii na několika měsíčních pobytech. Obecnou informaci k
tomuto jevu podává R. Babel - W. Paravicini (vyd.), Grand Tour. Adeliges Reisen
und europäische Kultur vom 14. bis zum 18. Jahrhundert [Beihefte der Francia
60], Thorbecke, Ostfildern 2005; a o Čechách A. Catalano, „L’Educazione del
principe: Ferdinand August Leopold von Lobkowitz e il suo primo viaggio in Italia“,
Porta Bohemica 2 (2003), s. 104-127; a Z. Hojda, „Kavalírské cesty v 17. století
a zájem české šlechty o Itálii“, in týž (vyd.), Itálie, Čechy a střední Evropa, s. 216239. Nejzajímavější literární zprávu podal mladý Heřman Jakub Černín (v češtině,
němčině, italštině, francouzštině a španělštině), Praha, Národní knihovna, XXIII F
30, XXIII F 43, Heřman Jakub Černín, Diarium, o němž je možné se dočíst v A.
Catalano (vyd.), „Heřman Jakub Černín: Deník z cesty po Itálii“, Souvislosti 13
(3-4/2002), s. 113-123.
(12) P. Maťa, Svět české aristokracie (1500-1700), Nakladatelství Lidové
noviny, Praha 2004, s. 799, poznámka 103.
(13) G. M. Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia... nella seconda
impressione, fatta l’anno 1714 d’ordine della Radunanza degli Arcadi, corretta,
riformata, e notabilmente ampliata; e in questa terza pubblicata unitamente coi
Comentarj intorno alla medesima, riordinata, ed accresciuta, Venezia 1730-1731,
I, s. 181-182.
(14) F. C. Moser, Abhandlung von den Europäischen Hof- und StaatsSprachen nach deren Gebrauch im Reden und Schreiben, Franckfurt am Mayn
1750, s. 11, 18.
(15) J. Janáček, „Italové v předbělohorské Praze (1526-1620)“, Pražský
sborník historický 16 (1983), s. 77-118; existuje také francouzská verze: „Les
Italiens à Prague à l’époque précédant la bataille de la Montagne Blanche (15261620)“, Historica 23 (1983), s. 5-45. Pro střední Evropu neexistuje srovnatelný
text s J. F. Dubost, La France italienne. XVIe-XVIIe siècle, Aubier, Paris 1997.
(16) Viz cenná rekapitulace A. Bortolozzi, „La Congregazione della Beata
Vergine Maria Assunta in Cielo. Religione e carità nella migrazione degli italiani a
Praga in età moderna“, in A. Trezza Cabrales (vyd.), La congregazione italiana,
s. 11-25.
(17) J. F. Hammerschmid, Prodromus gloriae Pragenae, Pragae 1723, s.
480-498 (o Chiesovi s. 497).
(18) I. Kollmann (vyd.), Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide res
gestas Bohemicas illustrantia, I/1, SPN, Praha 1923, s. 201.
(19) Tamtéž, s. 199.
(20) E. Rangognini, „Le cinquecentine praghesi del nunzio speciano“, Annali
della biblioteca statale e libreria civica di Cremona. Studi e bibliografie 3 (1987),
s. 67-95; týž, „Pražské latinské a italské tisky vydané z iniciativy a nákladem
papežského nuncia Cesare Speciana“, Knihy a dějiny 4 (1/1997), s. 1-20.
162
(21) Téma má dlouhou historiografickou tradici: A. Gramsci, Gli intellettuali
e l’organizzazione della cultura, Einaudi, Torino 1949; C. Morandi, „Italiani nella
vecchia Austria“ [1941], in týž, Scritti storici, I, ed. A. Saitta , Istituto storico italiano
per l‘eta moderna e contemporanea, Roma, 1980, s. 526-531; týž, „Italiani in
Ungheria e in Transilvania“ [1941], tamtéž, s. 532-537; týž, „Appunti e documenti
per una storia degli Italiani fuori d’Italia (A proposito di alcune note di Antonio
Gramsci)“ [1949], tamtéž, s. 78-84; A. Catalano, „Moltissimi sono i verseggiatori,
pochi i poeti. La cultura italiana nell’Europa centrale del XVII e XVIII secolo“,
eSamizdat 2 (2/2004), s. 35-50; http://www.esamizdat.it/catalano_art_eS_2004_
(II)_2.pdf. Nelze podceňovat ani nedávný pokus o výklad tohoto jevu migračního
fenoménu viděného z komparativního pohledu od G. Pizzorusso - M. Sanfilippo,
„Prime approssimazioni per lo studio dell’emigrazione italiana nell’Europa centroorientale, secc. XVI-XVII“, in G. Platania (vyd.), La cultura latina, s. 259-297.
Pokud jde o německá města, viz nedávné vydání A. Pühringer, „‘E tutta questa
miseria è italiana’. Italienische Emigranten in deutschen Städten des 17. und 18.
Jahrhunderts“, in Th. Fuchs - S. Trakulhun (vyd.), Das eine Europa und die Vielfat
der Kulturen. Kulturtransfer in Europa 1500-1850, Berliner Wissenschafts-Verlag,
Berlin 2003, s. 353-377.
(22) O Losim pojednává hezký článek P. Zelenková - M. Mádl, „The destruction
of Piuro and the rise of the Losy of Losinthal family on the thesis broadsheet
after Johann Fridrich Hess of Hesice from 1667 / Zkáza Piura a vzestup Losyů
z Losinthalu na univerzitní tezi podle Jana Bedřicha Hesse z Hesic z roku 1667“,
Bulletin of the National Gallery in Prague 12-13 (2002-2003), s. 6-24, 110-123.
(23) Wien, AVA, FA Harrach, rkp. 453, 1648 X 16. K pochoutkám, které se
mohly konzumovat v Praze 17. století viz též následující citace z deníku kardinála
Arnošta Vojtěcha z Harrachu: „šli jsme k hraběti Losyovi na oběd [...] a bylo o nás
velmi dobře postaráno, i když tentokrát neměl svá italská vína. On pokládá za
pochoutku velké šneky z Itálie, ale protože se připravují s česnekem, neochutnal
jsem je. Celý den jsme pak strávili hrou a jen hrabě Schlick sám prohrál asi
šedesát stříbrných dukátů. Ukázaly se i všechny jeho děti, dva chlapci a dvě
děvčata. Starší chlapec mě uvítal krátkým latinským proslovem“, Wien AVA, FA
Harrach, rkp. 462, 1657 I 21.
(24) R. Mazzei, Itinera mercatorum. Circolazione di uomini e beni nell’Europa
centro-orientale 1550-1650, M. Pacini Fazzi, Lucca 1999, s. 66. Další články týž,
Traffici e uomini d’affari italiani in Polonia nel Seicento, F. Angeli, Milano 1983.
(25) G. Ptaśnik, Gli italiani a Cracovia dal XVI secolo al XVIII, Forzani, Roma
1909, s. 98.
(26) R. Mazzei, Itinera mercatorum, s. 66.
(27) Tamtéž, s. 106.
(28) F. da Montignoso, L’ordine dei minori cappuccini in Lucca (1571-1788),
Baroni, Lucca 1910, s. 67-82, 130-131.
(29) H. Jedin, „Die Relation Ottavio Piccolominis über Wallensteins Schuld und
Ende“, Zeitschrift des Vereins für Geschichte Schlesiens 65 (1931), s. 328-357.
(30) K této fázi jeho života viz H. Jedin, „Propst G.B. Barsotti, seine Tätigkeit
als römischer Agent deutschener Bischöfe (1638-1655) und seine Sendung nach
Deutschland (1643-1644)“, Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde
und für Kirchengeschichte 39 (1931), s. 377-425.
(31) A. Catalano, „L’arrivo di Francesco Sbarra in Europa centrale e la
mediazione del cardinale Ernst Adalbert von Harrach“, in B. Marschall (vyd.),
Theater am Hof und für das Volk. Beiträge zur vergleichenden Theater- und
Kulturgeschichte. Festschrift für Otto G. Schindler, Maske und Kothurn 48 (14/2002), s. 203-213.
(32) A. Catalano, La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert
von Harrach e la Controriforma in Europa Centrale (1620-1667), předmluva A.
Prosperi, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2005, s. 494.
(33) Ke složitosti proměnlivých vnitrostátních vztahů v habsburské monarchii
a jejich vztahů k italským státům viz alespoň: S. Pugliese, Le prime strette
dell’Austria in Italia, Tumminelli-Treves, Milano-Roma 1932; K. O. von Aretin,
163
„Reichsitalien von Karl V. bis zum Ende des Alten Reiches. Die Lehensordnungen
in Italien und ihre Auswirkungen auf die europäische Politik“, in týž, Das Reich.
Friedensordnung und europäisches Gleichgewicht 1648-1806, Klett-Cotta,
Stuttgart 1986, s. 76-163; týž, Das Alte Reich 1648-1806, I-III, Klett-Cotta,
Stuttgart 1993-1997; K. Vocelka, „Das Ringen um Positionen in Italien: Die
Habsburgermonarchie und die italienische Staaten 1683 bis 1790/1796“, in P.
Chiarini - H. Zeman (vyd.), Italia-Austria: alla ricerca del passato comune, Istituto
Italiano di Studi Germanici, Roma 1995, s. 221-234; M. Schnettger, „Das alte
Reich und Italien in der frühen Neuzeit. Ein institutionengeschichtlicher Überblick“,
Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 79 (1999),
s. 344-420; a také zcela nový sborník M. Schnettger - M. Verga (vyd.), Das Reich
und Italien in der Frühen Neuzeit, Duncker & Humblot, Bologna-Berlin 2006.
(34) Jako základní úvod k této problematice v italštině viz K. O. von Aretin,
„L’ordinamento feudale in Italia nel XVI e XVII secolo e le sue ripercussioni sulla
politica europea“, Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento 4 (1978),
s. 51-93. Mnoho případů bylo souzeno dvorskou radou: podle Aretina jen v 17.
století šlo o 590 sporů, tamtéž, s. 64.
(35) O obdobném fenoménu ve Francii v 16. století viz H. Keller, AntiItalianism in Sixteenth-Century France, University of Toronto Press, TorontoBuffalo-London 2003.
(36) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, 1631 III 22, Roma, Archivio Segreto
Vaticano, Segr. Stato, Germania, 121, fol. 79v-82v.
(37) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, 1634 IV 1, Roma, Archivio Segreto
Vaticano, Segr. Stato, Germania, 128, fol. 82r-84r
(39) Malatesta Baglioni a Francesco Barberini, 1637 IV 11, Roma, Archivio
Segreto Vaticano, Segr. Stato, Germania, 132, fol. 82r-v.
(38) G. F. Olmo, Relationi della Repubblica di Venetia, del Regno di Polonia,
et del Regno di Boemia, Venetia 1628, s. 47.
(40) Ciriaco Rocci a Francesco Barberini, Roma, Archivio Segreto Vaticano,
Segr. Stato, Germania, 124, 1632 VIII 28, fol. 28r-29v.
(41) Francesco Barberini a Ciriaco Rocci, Roma, Archivio Segreto Vaticano,
Segr. Stato, Germania, 124, 1632 IX 18, fol. 34r-35v
(42) Johann Maximilian von Lamberg a Ernst Adalbert von Harrach, 1640 XI
16, Wien, AVA, FA Harrach, Hs. 268, fol. 24v.
(43) P. Maťa, Svět české aristokracie, s. 557-558.
(44) A. Catalano (vyd.), „Studentská píseň proti kardinálu Harrachovi“,
Souvislosti 13, (3-4/2002), s. 47-51.
(45) Cituji z druhého nepublikovaného dílu dopisů Leopolda I. Janu
Humprechtu Černínovi z vydání Z. Kalisty, Praha, Památník národního písemnictví,
Z. Kalista, Rukopisy vlastní, Korespondence císaře Leopolda I s H.J. Černínem z
Chudenic, II/VII, 1668 VII 12. Viz též nespokojené reptání české šlechty ke zprávě
o sňatku Černína s italskou dvorní dámou: Z. Kalista, Mládí Humprechta Jana
Černína z Chudenic. Zrození barokního kavalíra, I, nákladem autorovým, Praha
1932, s. 227.
(46) Wien, AVA, FA Harrach, rkp. 298, 1639 X 27.
(47) H. Hendrix, „Persistenza del prestigio nell’età della crisi“, Storia della
letteratura italiana, XII (La letteratura italiana fuori d’Italia), Salerno Ed., Roma
2002, s. 437-482; A. Catalano, Moltissimi sono i verseggiatori, pochi i poeti. La
cultura italiana nell’Europa centrale del XVII e XVIII secolo, eSamizdat 2 (2/2004),
s. 35–50; http://www.esamizdat.it/catalano_art_eS_2004_(II)_2.pdf.
(48) G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Molinari, Milano 1824, XIV,
s. 93.
(49) Tamtéž, XV, s. 660.
(50) K. Keller, Hofdamen. Amtsträgerinnen im Wiener Hofsaat des 17.
Jahrhunderts, Böhlau, Wien-Köln-Weimar 2005, s. 56-58.
(51) L. Giorgi, Caserta e gli Acquaviva. Storia di una corte dal 1509-1634,
Spring, Caserta 2004.
(52) Pro obecný přehled viz G. Hanlon, The twilight of a military tradition.
164
Italian aristocrats and European conflicts, 1560-1800, Holmes & Meier, London
1998, a sebrané příspěvky in T. M. Barker, Army, Aristocracy, Monarchy: Essays
on War, Society, and Government in Austria, 1618-1780, Boulder-Social Science
Monographs, New York 1982. Mezi dalšími konkrétními příklady, k nimž odkazujeme
i kvůli příslušné bibliografii, viz alespoň: G. Benzoni, „Rambaldo Collalto“,
Dizionario biografico degli italiani, sv. 26, Istituto della enciclopedia italiana, Roma
1982, s. 782-788; P. Balcárek, „Dobyvatel Mantovy“, Studie muzea Kroměřižska,
(1980), s. 76-92; P. A. Passolunghi, I Collalto. Linee, documenti, genealogie
per una storia del casato, B & M, Treviso 1987; R. Becker, „Mattia Galasso“,
Dizionario biografico degli italiani, sv. 51, Roma 1998, s. 355-359; J. Kilián, „Jan
Matyáš Gallas pohledem kritické historiografie“, Fontes Nissae 3 (2002), s. 37-59;
G. Benzoni, „Rodolfo Colloredo“, Dizionario biografico degli italiani, sv. 27, Roma
1982, s. 86-91; O. Elster, Piccolomini-Studien, G. Müller-Mann, Leipzig 1911; P.
Balcárek, „František Magnis a Morava na sklonku třicetileté války“, Studie muzea
Kroměřižska, (1982), s. 4-28; H. Piquer, Francesco Antonio del Carretto marquis
de Grana, ambassadeur impérial en Espagne et conseiller de Philippe IV, s. e.,
s. l., Paris 1998; S. Andretta, „Torquato Conti“, Dizionario biografico degli italiani,
sv. 28, Istituto della enciclopedia italiana, Roma 1982, s. 180-184. Velice silnou
ideologickou konotací se vyznačuje V. Mariani - V. Varanini, Condottieri italiani in
Germania, Garzanti, Milano 1941.
(53) A. Bortolozzi, „La Congregazione della Beata Vergine Maria Assunta in
Cielo. Religione e carità nella migrazione degli italiani a Praga in età moderna“, in
A. Trezza Cabrales (vyd.), La congregazione italiana, s. 21.
(54) Scelta di azioni egregie operate in guerra da generali e soldati italiani nel
secolo ultimamente trascorso Decimo Settimo di Nostra Salute, cioè dall’anno
MDC fino al MDCC e singolarmente da tre supremi comandanti di eserciti Conte
Mattia Galasso trentino, duca Ottavio Piccolomini sanese, conte Raimondo
Montecuccoli modenese, Venezia 1742, s. 3.
(55) O významu italských pramenů pro třicetiletou válku svědčí ohromné
procento dokumentů v italštině citovaných v sedmi dílech edice Documenta
Bohemica Bellum Tricennale illustrantia, I-VII, Academia, Praha-Wien-Köln-Graz
1971-1981.
(56) T. B. Barker, „Generalleutnant Ottavio Fürst Piccolomini. Zur Korektur
eines ungerechten historischen Urteils“, Österreichische Osthefte 22 (1980), s.
367, pozn. 77.
(57) Nejspíš tak to míní i P. Maťa, Svět české aristokracie, s. 148-150.
(58) Tamtéž, s. 170-171.
(59) Ernst Adalbert von Harrach a Johann Maximilian von Lamberg, 1657 I
13, 1228, 17/259, 33.
(60) Viz medailony Gualdo Priorata, v nichž nikdy nechybí zmínka o literárních
studiích: „vychován studiem krásné literatury a pěstovaním neušlechtilejších
rytířských umění“ (Rambaldo Collalto), „byl vzděláván v oborech, jež nejvíce se
hodí pro dvorního rytíře, a v tělesných cvičeních a v literatuře“ (Fabrizio Coloredo),
„studoval ty nejlepší autory; vyzná se v tom, co bylo napsáno & vykonáno; viděl
téměř celou Evropu a seznámil se s vlastnostmi každého národa“ (Montecuccoli),
G. Gualdo Priorato, Vite, et azzioni di personaggi militari, e politici, Vienna 1674
(bez číslování stran).
(61) A. Catalano, „Die Tagebücher und Tagzettel des Kardinals Ernst Adalbert
von Harrach“, in J. Pauser - M. Scheutz - Th. Winkelbauer (vyd.), Quellenkunde
der Habsburgermonarchie (16.-18. Jahrhundert). Ein exemplarisches Handbuch,
Oldenburg, Wien 2004, s. 781-789; týž, „Il diario italiano di Ernst Adalbert von
Harrach (1598-1667)“, in S. Graciotti - J. Křesálková (vyd.), Barocco in Italia, s.
269-290; týž, „Italský deník kardinála Arnošta Vojtěcha z Harrachu a bouřlivý rok
1638“, Souvislosti 13 (3-4/2002), s. 29-33.
(62) R. J. W. Evans, Felix Austria, Il Mulino, Bologna 1981, s. 394.
(63) Viz K. A. Huber, „Italienische Kultmotive im Barock der böhmischen
Länder“ [1982], in týž, Katholische Kirche und Kultur in Böhmen. Ausgewählte
Abhandlungen, ed. J. Bahlcke - R. Grulich, LIT, Münster 2005, s. 415-453.
165
(64) K vlivu italštiny a italské literatury dokonce i na rakouskou protestantskou
šlechtu (a zejména na nejvýznamnější barokní autorku Catharinu Reginu von
Greiffenberg) viz H. Cerny, „Der Einfluss der italienischen Sprache und Literatur
auf die niederösttereichische Adelskultur im 17. Jahrhundert“, in P. Chiarini - H.
Zeman (vyd.), Italia-Austria: alla ricerca del passato comune, s. 267-291.
(65) Viz četná svědectví v rukopisných výňatcích z jeho korespondence,
Wien, AVA, FA Harrach, HS 297.
(66) Wien, AVA, FA Harrach, 748, Verlassenschaft, 1639.
(67) Viz velice bohatý katalog rodu Lobkoviců: J. Kašparová (vyd.), Roudnická
lobkovická knihovna. Jazykově italské tisky 1500-1800, Národní knihovna, Praha
1990-1995. Pokud jde o rukopisy, Černý došel k závěru, že mezi románskými
jazyky mají absolutní převahu rukopisy v italštině a španělštině oproti francouzštině
(a poměr textů v italštině ke španělštině je sedm ku třem), V. Černý, „Rukopisy,
psané románskými jazyky, v pražských knihovnách“, Studie o rukopisech 1
(1962), s. 65-108. Dokonce i zajímavá sonda do soukromých knihoven pražských
měšťanů ukazuje, že osmina z nich obsahovala knihy psané italsky, Z. Hojda - J.
Kašparová, „Románská literatura v knihovnách staroměstských měšťanů v 17.
století“, Documenta Pragensia 19, 2001, s. 85-100.
(68) Literatura k tomuto tématu je dost obsáhlá, i když se často opakuje:
kromě již citovaných jmen Landau a De Bin, viz též H. Seifert, Die Oper am
Wiener Kaiserhof im 17. Jahrhundert, Hans Schneider, Tutzig 1985, s. 195-204;
H. Seifert, „Akademien am Wiener Kaiserhof der Barockzeit“, in W. Frobenius - N.
Schwindt-Gross - Th. Sick (vyd.), Akademie und Musik. Erscheinungsweisen und
Wirkungen des Akademiegedankes in kultur- und Musikgeschichte: Institutionen,
Veranstaltungen, Schriften, SDV, Saarbrücken 1993, s. 215-222; T. Antonicek,
„Musik und italienische Poesie am Hofe Kaiser Ferdinands III.“, Mitteilungen der
Kommission für Musikforschung 42 (1990), s. 1-22. K pokusu o výklad viz E.
Kanduth, „Italienische Dichtung am Wiener Hof im 17. Jahrhundert“, Beiträge zur
Aufnahme der italienischen und spanischen Literatur in Deutschland im 16. und
17. Jahrhundert, ed. A. Martino, Rodopi, Amsterdam 1990, s. 171-207; týž, „Das
geistlich-weltliche Konzept der italienischen Dichtung am Wiener kaiserlichen Hof
im 17. Jahrhundert“, Italienisch-europäische Kulturbeziehungen im Zeitalter des
Barock, Stauffenburg, Tübingen 1991, s. 203-219; a v nesrozumitelné italštině
týž, „L’italiano lingua familiare e lingua ufficiale alla Corte imperiale nel Seicento“,
in F. Brugnolo - V. Orioles (vyd.), Eteroglossia e plurilinguismo letterario, 1.
L’Italiano in Europa - 2. Plurilinguismo e letteratura, Il Calamo, Roma 2002, s.
137-149. Nově a hlouběji se studiem archivních pramenů akademiemi zabýval
M. Ritter, „Man sieht der Sternen König glantzen“. Der Kaiserhof im barocken
Wien als Zentrum deutsch-italienischer Literaturbestrebungen (1653 bis 1718)
am besonderen Beispiel der Libretto-Dichtung, Edition Praesens, Wien 1999.
(69) Osservationi Historiche delle cose più notabili occorse in Germania et
alla Corte dell’Imperatore durante la Nuntiatura di Monsignore Arcivescovo di
Pisa, Roma, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Pio, 218, fol. 11v-12v. O obou
císařovnách Eleonorách je překvapivě málo literatury: G. B. Intra, „Le due Eleonore
Gonzaga imperatrici“, Archivio storico lombardo 18 (1891), s. 342-363, 629-657;
A. Bues, „Das Testament der Eleonora Gonzaga aus dem Jahre 1651. Leben
und Umfeld einer Kaiserin-Witwe“, Mitteilungen des Instituts für österreichische
Geschichtsforschung 102 (1994), s. 316-358. Početné nové detaily ale uvádí
K. Keller, Hofdamen. Amtsträgerinnen im Wiener Hofsaat des 17. Jahrhunderts,
Böhlau, Wien-Köln-Weimar 2005. Lépe doložený je příběh Claudie de’ Medici, od
roku 1626 tyrolské arcivévodkyně: S. Weiss, Claudia de’ Medici. Eine italienische
Prinzessin als Landesfürstin von Tirol (1604-1648), Tyrolia, Innsbruck-Wien 2004.
(70) Osservationi Historiche delle cose più notabili occorse in Germania et
alla Corte dell’Imperatore durante la Nuntiatura di Monsignore Arcivescovo di
Pisa, Roma, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Pio, 218, fol. 86v-87r.
(71) Z. Kalista, Mládí Humprechta Jana Černína z Chudenic. Zrození
barokního kavalíra, s. 227.
(72) L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa
166
Medici, VI, Firenze 1781, s. 283-284.
(73) Lettere inedite di Salvator Rosa a G.B. Ricciardi trascritte e annotate da
A. De Rinaldis, Palombi, Roma 1939, s. 119-121.
(74) Viz A. Nowicka-Jeżowa, Morsztyn e Marino. Un dialogo poetico
dell’Europa barocca, Il Calamo, Roma 2001, a vydání polského překladu
Adonise, dosud stále jako rukopisu: G. B. Marino, Adon (Adone), ed. L. Marinelli
a K. Mrowcewicz, I-II, Tor Vergata-IBL, Roma-Warszava 1993.
(75) K tomu viz také J. Kašparová, „K problematice českých překladů
italských děl v naší starší literatuře“, Miscellanea oddělení rukopisů a vzácných
tisků SK ČSR 6 (1/1990), s. 79-111.
(76) G. B. Manni, Věčný pekelný žalář, do češtiny převedl Matěj Václav
Šteyer, k vydání připravil M. Valášek, doslov A. Wildová-Tosi, Atlantis, Brno 2002.
Viz též A. Wildová Tosi, „Visioni barocche dell’inferno di tre gesuiti in Boemia, Italia
e Spagna“, in S. Graciotti - J. Křesálková (vyd.), Barocco in Italia, s. 409-429.
(77) O jeho vzdělání viz A. Catalano, La Boemia e la riconquista delle
coscienze, s. 31-40.
(78) C. Franciotti, Raiß Zu dem Berg Calvaria. Jn sechs Wochen getheilt
Jn welchen man betrachtet das Leiden und Sterben unseres Herrn und
Seeligmachers Jesu Christi, Wien [1650].
(79) Wien, AVA, FA Harrach, Hs. 230, fol. 52r.
(80) La Uranie del Montagnate, tradotto dal francese in Tedesco, ma solo per
modo d’un compendio, Wien, AVA, FA Harrach, 170, Biographica, s. d.
(81) Překlad pražského arcibiskupa obsahující také části, které se nevyskytují
ve dvou prvních částečných překladech do němčiny (1619 a 1624-1632), byl
nedávno vydán v H. d’Urfé, Die Schäfferinn Astrea, sv. I-IV ed. A. Noe, Weidler,
Berlin 2004.
(82) Wien, AVA, FA Harrach, 178, 1634 Januarius.
(83) A. Catalano, „Die Funktion der italienischen Sprache während des
Episkopats des Erzbischofs Ernst Adalbert von Harrach und die Rolle des
Kapuziners Basilius von Aire“, in J. Bahlcke (vyd.), Kirchliche Praxis, Sprache
und nationale Identität. Vom spätmittelalterlichen Böhmen bis zur Ersten
Tschechoslowakischen Republik, v tisku.
(84) Wien. AVA, FA Harrach, 169, Haushalt und Hofstaat (-1649), 1634.
(85) Magni a Ludovisi, 1631 VI 7, Roma, Archivio della S. Congregazione
de Propaganda Fide, Scritture Originali riferite nelle Congregazioni Generali,
72, fol. 166.
(86) V tomto ohledu zůstává základní prací J. Cygan, „Das Verhältnis
Valerian Magnis zu Galileo Galilei und seinen wissenschaftlichen Ansichten“,
Collectanea franciscana 38 (1968), s. 135-166. Nové podrobnosti, vycházející
z materiálů z Piccolominiho archivu, přináší také Z. Šolle, „Galileo Galilei. Nový
pohled na pověstný proces“, Studia comeniana et historica 16 (1977), s. 105133 [německy Neue Gesichtspunkte zum Galilei-Prozess (mit neuen Akten
aus böhmischen Archiven), ed. G. Hamann, Verlag der Österreichischen
Akademie der Wissenschaften, Wien 1980]; týž, „Galileo Galilei und die Länder
nördlich der Alpen“, zpracoval K. Ferrari d’Occhieppo, ed. G. Hamann - H.
Grössing, Veröffentlichungen der Kommission für Geschichte der Mathematik,
Naturwissenschaften und Medizin 51, 1994, s. 191-227.
(87) K uvedeným autorům a také s aktualizovanou bibliografií viz A. Catalano,
„Italská historiografie mezi machiavelismem a oslavou habsburské monarchie:
politická ideologie a moralizující sebereflexe v dílech R. Montecuccoliho, G.
Gualda Priorata a G.B. Comazziho“, Společnost v zemích habsburské monarchie
a její obraz v pramenech (1526-1740), ed. V. Bůžek - P. Král, Opera historica 11
(2006), v tisku.
(88) G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, XV, s. 604-605.
(89) G. Mazucchelli, Gli scrittori d’Italia cioè Notizie storiche, e critiche intorno
alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, II/1, Brescia, 1758.
(90) K aktualizované bibliografii a ‚vyváženému výkladu‘ „posledního
z Medicejských“ viz nově zpracované heslo M. P. Paoliho, „Gian Gastone de’
167
Medici“, Dizionario biografico degli italiani, sv. 54, Roma 2000, s. 397-407.
Nejznámnější biografie jsou L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto
il governo della Casa Medici, IV-V, Firenze, 1781; L. Grottanelli, Gli ultimi principi
della casa de’ Medici e la fine del granducato di Toscana, Flori, Firenze 1897; H.
Acton, Gli ultimi Medici [1932], Torino 19872, s. 209-314. Základním textem ale
stále zůstává G. Pieraccini, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo. Saggio di ricerche
sulla trasmissione ereditaria dei caratteri biologici [1947], II, Firenze 19862, s.
737-772. Ke kulturnímu mecenášství Medicejských viz zejména G. Bianchini, Dei
Granduchi di Toscana della Reale Casa de’ Medici protettori delle lettere, e delle
Belle Arti, Ragionamenti istorici, Venezia 1741 (Gian Gastonovi jsou věnované
strany 159-178). V češtině A. Skýbová, „Gian Gastone Medici, poslední medicejský
velkovévoda, a vydání české gramatiky v Praze“ in J. Hlaváček - J. Hrdina - J.
Kahuda - E. Doležalová (vyd.), Facta probant homines. Sborník příspěvků k
životnímu jubileu Prof. Dr. Z. Hledíkové, Scriptorium, Praha 1998, s. 431-438.
(91) Firenze, Archivio di Stato, Mediceo del Principato, 5915, 1699 IV 18. Viz
studii Jan F. Pavlíček, „Gian Gastone de’ Medici a jeho dvůr v Čechách. Problém
dlouhodobého pobytu v cizině“, v tomto sborníku.
(92) Viz zdrcující pojednání, které po dlouhé době, kdy kolovalo jen v rukopisu,
vydal F. Orlandi a G. Baccini, Vita di Gio. Gastone I, settimo ed ultimo Granduca
della real. casa de’ Medici, con la lista dei provvisionati di camera dal volgo detti
i ruspanti [Bibliotechina grassoccia 2], Stianti, Firenze 1886. Jeden z rukopisů se
také zachoval v Národní knihovně v Praze, Vita di Gio. Gastone primo di questo
nome e Ottavo Gran Duca di Toscana, jako jedenadvacátý díl řady Origine e
descendenza della casa de Medici ovvero Discurso e introduzione alle vite de
Duchi e Granduchi di Toscana, Praha, Národní knihovna, XXIII E 35.
(93) G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, quibus vertens
saeculum gloriatur, I, Florentia 1742, s. 261-283.
(94) Miniatura z knihy bratrstva je převzatá in A. Trezza Cabrales (vyd.), La
congregazione italiana, s. 64.
(95) Věnování Janditovy gramatiky Gian Gastonovi je uvedeno v M. Valášek,
„Il grammatico Václav Jandit e Gian Gastone“, in S. Graciotti - J. Křesálková
(vyd.), Barocco in Italia, s. 407-408. Zdá se, že mladý kníže se přímo podílel na
různých činnostech italské komunity, jak to uvádí i svazek F. Cassini, Il giubileo
nella casa hospitale di S. Marta, overo de’ misericordiosi, ed imitatori della di
lei hospitalità celebrato. Sermone I, nel giorno dell’assuntione della Vergine
Santissima, mentre nell’istesso la venerabile congregatione de SS. Italiani, e
direttori del famoso hospedale di S. Carlo, la festività del giubileo, e dell’anno suo
secolare, o centesimo, coll’intervenimento honoratissimo del serenissimo G.G.
principe di Toscana solennemente celebrava, Praha 1701.
(96) L. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, IV, s. 329.
(97) Bacco in Boemia. Ditirambo. Di Piero Domenico Bartoloni da Empoli.
In onore del vino di Melnich, Praha 1717; Bacco in Boemia. Ditirambo di Piero
Domenico Bartoloni da Empoli Accademico Apatista in lode del vino di Melnich.
Seconda edizione dedicata all´altezza reale di Gio. Gastone Primo Gran Duca di
Toscana, Firenze 1736. Velice zajímavá je kopie prvního vydání uložená v Národní
knihovně ve Florencii, která obsahuje četné rukopisné dodatky, později včleněné
do druhého vydání: Firenze, Biblioteca nazionale, Palat. C.10.5.9.
(98) A. Catalano, „Pietro Domenico Bartoloni da Empoli e le sue Istorie de’
Duchi, e Re di Boemia / Pietro Domenico Bartoloni z Empoli a jeho Dějiny českých
vévodů a králů“, La Nuova rivista italiana di Praga/Nový italský časopis v Praze 6
(2/2000-1/2001), s. 92-99; V. Černý, „Eneáš Silvius měl následovníka“ [1962], in týž,
V zúženém prostoru, Mladá fronta, Praha 1994, s. 31-34; V. Černý, „Rukopisy, psané
románskými jazyky, v pražských knihovnách“, passim, o Bartolonim na s. 88.
(99) Věta se vyskytuje v předmluvě, „Proemio“, k dílu P. D. Bartoloni da Empoli,
Istorie de’ Duchi, e Re di Boemia, Praha, Národní knihovna, VIII H 38-39, I, fol. 5.
(100) J. Kollár, Cestopis obsahující cestu do Horni Italie a odtud přes
Tyrolsko a Bavorsko se zvláštním ohledem na slavjanské živly roku 1841 konanou
a sepsanou od Jana Kollára [1843], Otto, Praha 1862, s. 248-249.
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